Antonio Piemontese
Scritto il 17 Ott 2019 in Notizie
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Il posto fisso? Un residuo del passato. A sognarlo restano i genitori: ai figli, decisamente più pragmatici, basta uno stipendio alto per rinunciare senza troppi pensieri al tempo indeterminato. Non sorprendono i risultati del sondaggio promosso da Nestlè in collaborazione con Camera di Commercio di Milano, Monza e Lodi e presentato l'altroieri in occasione della Settimana della Formazione Professionale.
La rilevazione è stata effettuata da Toluna su un campione di ottocento giovani di tutta Italia agli ultimi anni delle superiori, provenienti sopratutto da licei, ma anche da istituti tecnici e istituti professionali. Intervistati anche duecento genitori e cento docenti. Il quadro emerso fotografa gli attori coinvolti nel delicato passaggio che dalle aule degli istituti superiori conduce alle aziende o agli atenei. Un bilancio senz'altro positivo dal punto di vista della qualità percepita della formazione: tutti sono concordi nel ritenerla di buon livello, seppur con percentuali leggermente differenti – a fronte di un 78% di professori, infatti, ascoltando la campana dei genitori si scende a 71% e l'entusiasmo degli studenti si ferma a 69%.
Le cose cambiano se si parla della distanza scuola-lavoro. Solo il 55% degli studenti ritiene che le superiori preparino realmente alla vita d'impresa, e anche in questo caso genitori (49%) e insegnanti (54%) confermano. Eppure quasi due teenager su tre (il 62%) hanno effettuato periodi di alternanza scuola-lavoro – vecchia denominazione di quelli che oggi sono stati ribattezzati PTCO, Percorsi per le Competente Trasversali per l'Orientamento: un dato non altissimo ma in netto miglioramento rispetto a qualche anno fa, quando ad uscire dalle aule era una sparuta minoranza. Ma se si guarda alle mansioni svolte, si scopre che il 26% è stato impiegato in compiti decisamente semplici come inserire dati nei terminali, mentre il 24% ha eseguito attività di back office – le classiche fotocopie, o la messa in ordine di archivi. Insomma, portare i ragazzi in azienda non basta: bisogna sapere quali compiti affidare loro. E che gli adolescenti siano pronti. I casi reali aiutano a comprendere.
«Nella nostra esperienza c'è una differenza tra gli adolescenti che provengono dalla formazione tecnica e chi viene da studi liceali» afferma Giacomo Piantoni, direttore Risorse Umane del Gruppo Nestlè in Italia: «Quando i primi si recano negli stabilimenti produttivi lo scambio con i capireparto è facile. Sulla base del piano predisposto in precedenza, i responsabili assegnano questa o quella mansione in cui possono rendersi utili. Con chi viene dai licei, invece, abbiamo dovuto cambiare più volte schema: probabilmente incide anche il fatto che per loro il mondo del lavoro è ancora lontano» riflette il manager: «In questo caso si sono dimostrate più utili le spiegazioni sul funzionamento generale di un'azienda». La distanza tra sistema formativo e imprenditoria spiegata in parole semplici. Attraverso il programma Nestlè Needs Youth, ricorda Piantoni, sono stati assunti più di 1.600 giovani under 30 dal 2014, mentre sono più di 6mila quelli che hanno vissuto un'esperienza in azienda.
Gli adulti di domani chiedono più stage curriculari (34%) e lavori occasionali in aziende e attività commerciali (32%), mentre i genitori suggeriscono uno spettro più ampio di attività che comprenda anche incontri in aula con professionisti ed esperti di risorse umane e formazione. Nel mercato del lavoro le imprese, mostrano i dati, richiedono soprattutto flessibilità, lavoro di gruppo, problem solving: abilità trasversali che a scuola raramente si imparano, e che pochi gli insegnanti sono pronti a trasmettere. Il salto generazionale, in questi casi, si paga caro.
Dunque per far sì che alternanza scuola-lavoro e stage non diventino semplici attestati privi di valore è fondamentale anche il ruolo dei docenti – che però, a propria volta, devono essere formati per essere in grado di formare adeguatamente. Altrimenti tutto il peso dell'onere della formazione ricade sui tutor aziendali, e non tutte le aziende hanno le spalle abbastanza grosse per far fronte a questo tipo di responsabilità. «Se grandi multinazionali dotate di uffici HR possono trovarsi in difficoltà, che dire delle piccole aziende del territorio, che spesso hanno meno di dieci dipendenti?» si chiede infatti Paola Amodeo, responsabile dell'Alternanza Scuola Lavoro per la Camera di Commercio di Milano, Monza e Lodi. Che ha provato a metterci una pezza con un programma di formazione gratuita rivolto a quattrocento docenti. I titoli dei corsi rispecchiano l'approccio innovativo: tra gli altri, "Da professore a coach" (supportato da Nestlè), "Consapevolezza e sviluppo del potenziale", "Progettare con il business model canvas","Curriculum vitae e nuove tecniche di selezione".
I percorsi durano dalle tre alle dodici ore e si svolgono presso la sede di Formaper a Milano (iscrizioni online su questo form, info qui). C'è anche un supporto economico ala realizzazione di questi percorsi, attraverso incentivi alle micro, piccole e medie imprese del territorio che dal primo gennaio 2019 hanno accolto o accoglieranno studenti. Ci sono 130mila euro a disposizione: il contributo viene proporzionato al numero di studenti ospitati e va da un minimo di 500 euro per un solo studente a un massimo di 2.500 euro per cinque studenti. Le domande, se approvate dall'istruttoria, vengono accolte secondo l'ordine cronologico di arrivo.
Sono 10mila le imprese lombarde che accolgono gli studenti, con 54mila percorsi di alternanza offerti: la parte del leone la fanno proprio le province di Milano, Monza e Lodi, che da sole rappresentano con un quarto delle aziende (2.500) i tre quarti delle opportunità di alternanza messe a disposizione dei ragazzi (per la precisione, 40mila).
Una scuola superiore in grado di fornire le basi giuste per affrontare la ricerca di un impiego è essenziale per rendere fluido il passaggio nel mondo degli adulti ed evitare che i neodiplomati vadano a ingrossare le fila dei demoralizzati. Del resto, la fiducia dei ragazzi intervistati nel mondo lavorativo è italiano è scarsa – anche per questo, probabilmente, uno su cinque vede per sé un futuro all'estero: in pole position Stati Uniti e Gran Bretagna.
Antonio Piemontese
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