Girl Power in EY, «Amo il data science perché fa vedere i problemi da una prospettiva diversa»

Rossella Nocca

Rossella Nocca

Scritto il 26 Mag 2019 in Storie

data analisys Gruppo EY STEM

La scienza è sempre più donna. E c’è un’ampia serie di ragioni per le quali oggi, per una ragazza, può essere conveniente scegliere un percorso di studi in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccontarle una ad una attraverso una rubrica, Girl Power, che avrà la voce di tante donne innamorate della scienza e fortemente convinte che in campo scientifico, di fronte al merito, non ci sia pregiudizio che tenga. La testimonianza di oggi è quella di Laura Degl’Innocenti, data scientist per il gruppo EY.     

Ho ventiquattro anni, vengo dalla provincia di Firenze e lavoro a Milano come data scientist per il gruppo EY. Nell’estate del 2018 mi sono laureata con il massimo dei voti in matematica all’università di Padova e a ottobre già ero in EY: è stato il mio primo impiego!


Dopo il liceo scientifico ero indecisa tra Matematica e Lettere antiche. Ma la passione per la matematica ha prevalso, insieme alla garanzia di maggiori sbocchi occupazionali. La matematica mi ha sempre affascinato perché rappresenta un mondo a sé stante, che parte da azioni ed è costruito in modo da non poter mai essere smontato né contraddetto, a differenza di altre discipline come la fisica, dove le teorie sono invalidabili. Non avevo un’idea precisa di cosa avrei fatto dopo, anche se l’insegnamento ad esempio non è mai stato tra le mie opzioni.

Nel mio corso di laurea non c’era un grande squilibrio tra uomini e donne: eravamo quasi alla pari, anche se andando avanti negli anni il tasso di abbandono femminile era più alto di quello maschile. Ma il gap si avvertiva soprattutto tra i docenti: in cinque anni di università solo una volta ho avuto una donna come professoressa. Tuttavia non ho mai vissuto discriminazioni.


All’università ho visto quello matematico come un ambiente un po’ troppo astratto per me, così ho cercato un campo di applicazione che potesse farmi relazionare con problemi quotidiani senza tuttavia perdere l’interesse teorico. Quello del data science mi è sembrato un settore interessante e in crescita, dove avere nuove idee e pensare a nuovi problemi. Così mi sono candidata per una posizione da data scientist nel gruppo EY e sono stata assunta con un contratto di apprendistato.


Attualmente lavoro in un gruppo di diciassette persone che, in vari ruoli, si occupano di analisi di dati. Siamo tre donne e quattordici uomini. Sono stata fortunata perché si tratta di un gruppo giovane e inclusivo. Io mi occupo di ascoltare le esigenze del cliente per ottenere database e trovare un modo intelligente per creare modelli statistici e di machine learning che rispondano a quelle esigenze. Tra i progetti principali mi occupo di fraud detection – cioè prevenzione e scoperta di frodi – e di modelli di customer experience. 
Il mio lavoro mi piace perché non è mai statico, c’è sempre la possibilità di pensare e proporre idee nuove ed escogitare metodi innovativi per risolvere i problemi. Non si smette mai di studiare e di aggiornarsi!

Certo all’inizio le difficoltà non sono mancate. La principale è secondo me apprendere ciò che veramente serve per questo tipo di lavoro. Appena assunto entri in un mondo nuovo con tante persone con più capacità di te e vieni bombardato di informazioni: piano piano devi imparare a discernere cosa è veramente utile e cosa è trascurabile. Per fortuna nel mio caso ho trovato persone capaci di guidarmi e trasmettermi la metodologia di lavoro giusta. 

All'inizio di marzo di quest'anno ho portato la mia testimonianza alla Women in Data Science (WiDS) Milan Conference, evento dedicato alle donne nella scienza. Lì ho spiegato proprio le difficoltà di un mondo, quello del data science e del machine learning, che può sembrare un mondo magico, la “ricetta” per risolvere tutti i problemi, ma se non si è guidati da persone esperte può condurre verso risultati non corretti. 

Nella mia vita la mia prima fonte di ispirazione è stata ed è mia madre, anche per il fatto di essere stata la prima laureata della famiglia, cosa che mi ha sempre incoraggiata a studiare e a non accontentarmi mai. Altri modelli sono le grandi scienziate italiane, due su tutte: Margherita Hack e Rita Levi Montalcini. 

Alle ragazze che scelgono una carriera scientifica come la mia consiglio di non lasciarsi mai abbattere da quanto può succedere nel lavoro o nello studio. Spesso quando si incontra un ostacolo si tende a scontrarsi con esso più che a tentare di scavalcarlo. Io invito a sentirsi sempre e comunque valevoli e a non dire mai “non ce la posso fare, gli altri sono più competenti di me”, a porsi obiettivi sempre nuovi e a non accontentarsi mai. Pensare di non essere mai abbastanza fa parte di un retaggio culturale che dobbiamo superare. 

Ormai va sdoganata l’idea che il data science sia prerogativa degli uomini: le donne possono dare un contributo originale a questo campo. Questo è un campo bellissimo che fa vedere i problemi da una prospettiva diversa e che oggi è il presente e può essere il futuro, anche per le donne! 

Testimonianza raccolta da Rossella Nocca

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