Tra i dieci vincitori della prima edizione della «Notte dei Talenti» organizzata alcune settimane fa a Milano dal Forum della meritocrazia la Repubblica degli Stagisti ha raccolto le storie dei più giovani premiati con un simbolico «oscar del merito».
Matteo Achilli, 20 anni, romano [nella foto a destra], studia economia aziendale e management all’università Bocconi di Milano. È l’ideatore di Egomnia, social network che ha l’obiettivo di mettere in contatto laureati e laureandi con le aziende in cerca di nuove risorse. «Tutto è nato guardando i siti di annunci di lavoro» spiega Achilli: «Mi sono chiesto se ci poteva essere un modo più efficace per mettere in relazione le richieste provenienti dalle aziende con le offerte dei candidati. Ho cercato un algoritmo in grado di classificare i curricula degli iscritti e grazie ad alcune nozioni di programmazione ho tracciato una struttura dell’idea, poi sono passato a fare l’imprenditore e ho costituito una srl composta da un team di dieci sviluppatori, ingegneri informatici ed elettronici, tutti ragazzi: il più anziano ha 27 anni. Per ora si tratta di collaboratori occasionali, ma non escludo che in futuro possa assumerli con un contratto di lavoro subordinato». Ma come nasce una start-up? Quando si ha un’idea il primo passo da compiere è trovare il modo per finanziarla. Achilli ha avuto la fortuna di ricevere un aiuto economico dalla famiglia, circa 10 mila euro, investiti per avviare la prima fase di progettazione del sito. «In Italia le start up sono inizialmente finanziate da business angels che investono cifre intorno ai 40mila euro ma considerano le imprese nascenti come dei “seeds”, semi da coltivare per almeno tre anni: un’eternità per aziende come la mia nata e pensata per esistere nella dimensione di internet. Dopo questa fase si può bussare alla porta delle grandi venture capitalist: ma si stima che nel nostro paese ogni mille nuove imprese, solo quattro ogni anno riescono ad accedere ai consistenti aiuti economici messi a disposizione da questi investitori. Negli Stati Uniti una start up riceve finanziamenti generosi già dalla fase embrionale». E allora se internet e le nuove tecnologie sembrano essere ancora una strada troppo tortuosa per decidere di mettersi in proprio, la Rete si conferma catalizzatore di incontri tra domanda e offerta di lavoro. I social-professional media, novità dell’e-recruitment, poco per volta prenderanno il posto dei siti di annunci. «All’inizio pensavo di creare un servizio che fosse utile alle piccole realtà imprenditoriali della nostra economia, ma anche alle università prive di un sistema di collocamento per i propri studenti. Ho voluto creare un servizio per i neolaureati al loro primo ingresso nel mondo del lavoro. Oggi, a soli due mesi dal lancio, abbiamo raggiunto quasi 50 mila iscritti e circa duecento aziende, anche molto grandi e con sedi in quasi tutte le regioni, hanno aderito al nostro network. Un successo inaspettato». Cosa c’è di innovativo in Egomnia? «Tra tutti i social media che si occupano di lavoro il più conosciuto è Linkedin, molto utilizzato per profili professionali avanzati ma tecnologicamente quasi superato. I dati inseriti sul nostro sito ricevono un punteggio sulla base di precisi criteri: età, titolo di studio, esperienze lavorative o di stage già maturate, lingue conosciute e provenienza geografica. Il sistema assegna un valore ad ogni caratteristica descritta, elaborando un ranking che permette alle aziende di trovare il candidato che cercano». Il rischio che questo tipo di selezione parametrizzata su profili medio-alti non consenta parità di accesso agli annunci delle aziende è stata presa in considerazione dal team di Egomnia. Infatti Achilli assicura: «Vogliamo ampliare il target per collocare al meglio anche chi ha solo un diploma».
Dall’imprenditoria 2.0 a quella materiale delle pmi, il secondo talento incontrato da RdS è Davide Cattaneo [foto qui sotto a sinistra], 36 anni, nato in provincia di Lecco, appassionato di arti circensi e titolare di Play Juggling, azienda che produce strumenti per la giocoleria. Cattaneo è riuscito nella non facile impresa di conciliare due mondi apparentemente molto lontani, quello del circo e quello del business. «A 21 anni studiavo giurisprudenza. Sentivo però che quella non era la mia strada, così lasciai l’università. All’epoca mio padre era il titolare di una piccola azienda di stampaggio di materie plastiche, gli proposi di convertire la produzione e lui scelse di credere in me. Così è nata Play Juggling: abbiamo iniziato a produrre articoli per la giocoleria, molti dei quali li progetto io stesso. Oggi l’azienda ha in forza quattro dipendenti a tempo indeterminato, tre donne e un uomo, con un’età media di trent’anni. Siamo un marchio di riferimento per il settore, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo». La vocazione familiare dell’imprenditoria italiana trova conferma anche nella storia di Cattaneo, che ammette: «Sono partito con il sostegno economico dei miei genitori, ma ogni tappa che ho raggiunto l’ho guadagnata poco per volta reinvestendo gli utili che l’azienda produceva. Le banche non mi sono mai state d’aiuto e le esperienze con la grande distribuzione mi hanno portato a grossi rischi. Anche i bandi per i finanziamenti, o le agevolazioni che vari istituti pubblici mettono a disposizione periodicamente, sembrano pensati per realtà grandi: che in Italia poi sono sempre le stesse. Tuttavia non ho rinunciato a nessuno dei miei sogni, ho deciso di costruire sul campo le mie esperienze, pur commettendo errori. Ci vuole fatica e impegno ma bisogna crederci e non lasciarsi scoraggiare dai momenti più difficili».
Secondo Cattaneo «dopo un decennio in cui il numero di laureati nel nostro paese è molto incrementato, credo che si sia alzato il tiro delle aspettative che si nutrono. Trovo assurdo però, che ad un aumento del livello culturale delle generazioni più giovani – e non tolgo nulla a chi ha scelto di laurearsi – non sia corrisposta una maggiore capacità ad affrontare e accettare i cambiamenti. Negli altri paesi, anche i neo comunitari dell’Europa dell’Est, i ragazzi tra i venti e i trent’anni conoscono bene più di una lingua e ciò permette loro di cogliere le opportunità e le sfide che la globalizzazione lancia. Se l’Italia vuole tornare a crescere deve dare più spazio ai giovani, ma quest’ultimi, a loro volta, devono dimostrarsi pronti ad accettare nuove sfide. È necessario un ricambio generazionale in grado di disinnescare i circoli viziosi in cui è caduta la politica e l’economia, per lasciare spazio a circoli virtuosi».
Lorenza Margherita
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