Era stata pensata, quando ancora era in carica il governo Letta, come il piano per far ripartire l’occupazione in Italia, e pubblicizzata sui vari canali televisivi e dai grandi quotidiani per attirare l’attenzione dei giovani disoccupati e farli approfittare di quest’opportunità. Eppure a tre mesi dal suo avvio mostra molte lacune, con offerte al ribasso, un numero di aziende iscritte molto circoscritto e una platea di giovani destinatari che è ben lontana da quella potenziale per cui era stato pensato il Piano.
Che qualcosa stia andando storto nella Garanzia Giovani lo certificano i numeri: ad esempio quelli diffusi, a fine agosto, dal ministero del lavoro secondo cui al 29 del mese scorso sono solo 169mila i giovani che si sono registrati, di cui i convocati sono stati appena 36mila per un totale di posti di lavoro al momento disponibile poco superiore alle 13mila unità. Numeri che mostrano come solo uno su 13 dei giovani che hanno aderito è riuscito a trovare un’offerta adatta. Resta da chiedersi come mai le aziende abbiano ritenuto poco interessante questa proposta, tema evidenziato anche dall’ultimo rapporto Adapt secondo cui la gran parte degli annunci arrivano da agenzie per il lavoro e non direttamente dalle aziende, che a questo punto sembrano totalmente disinformate o disinteressate alla Garanzia.
Errori di pianificazione sono stati sicuramente fatti, in primis non pensando a una pubblicità pervasiva che coinvolgesse più che la tv il web e i social network, con pagine sui social che riuscissero ad attirare quei giovanissimi che non studiano, non lavorano e non pianificano il loro futuro ma anche quelli che hanno collezioni di attestati e qualifiche e passano le ore in rete alla ricerca di annunci in linea con le loro capacità. Ancora una volta, invece, si è preferita la comunicazione “classica” e ci si è persi per strada una percentuale considerevole dei destinatari. I numeri li fotografa il Rapporto giovani curato, a fine luglio, dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con Ipsos, fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo: a due mesi dall’avvio della Garanzia giovani su un campione di oltre 1.700 intervistati, il 45% dichiara di non sapere nulla di questo Piano del governo e il 35% di averne sentito vagamente parlare. E proprio tra i neet, la categoria per cui il Piano era stato principalmente pensato, il numero di chi conosce abbastanza o molto bene questo progetto è solo di poco più di un giovane su cinque.
Parte dei problemi del perché ci sia questo blocco nell’attivazione della Garanzia Giovani è dato anche dagli incentivi destinati alle imprese che vogliono assumere giovani e che ad oggi lo Stato non ha ancora inviato. Su questo punto sono d’accordo Confcommercio, Confartigianato e Cna. «I protocolli che abbiamo sottoscritto con il ministero del lavoro comportano impegni di divulgazione e informazione alle imprese, che è quello che stiamo facendo» spiega alla Repubblica degli Stagisti Jole Vernola, direttore area politiche del lavoro e welfare di Confcommercio, «ma sono comunque subordinati agli incentivi previsti a livello regionale». Ed è proprio questa cifra non quantificata che non permette alcuna pianificazione, come spiega Luca Costi, segretario Confartigianato Liguria: «la Garanzia Giovani prevede una parte di contributo per le imprese che non è stata ancora definita, quindi come Confartigianato non abbiamo fatto ancora nessun tipo di azione nei confronti delle imprese. Abbiamo però l’esperienza recente dei tirocini che hanno avuto uno scarso successo di richieste da parte delle imprese artigiane perché presupponevano in modo burocratico il passaggio attraverso i centri per l’impiego. Ma chi vuole attivare un tirocinio dentro la propria impresa il nominativo ce l’ha già. Ha bisogno di una risposta veloce che non è assicurata dai centri per l’impiego».
Punto su cui è d’accordo anche Stefano Di Niola, responsabile del dipartimento relazioni sindacali della CNA: «Il 99% della garanzia giovani è spostato a livello regionale, ma non sembra essere capace di produrre grandi risultati perché i centri per l’impiego sono sotto dimensionati. Come CNA» spiega alla Repubblica degli Stagisti «pensiamo che vadano eliminati per lasciare spazio alle agenzie private o rivisti totalmente nella loro dotazione strumentale. Noi saremmo più per la seconda ipotesi. Oggi i cpi stanno facendo quello per cui sono stati iscritti in Garanzia giovani: contattano anche con una certa insistenza per fare i colloqui di orientamento. Ma dopo questo primo passo non sempre si riesce a trovare uno sbocco».
Il nodo della suddivisione territoriale è messo in luce anche da Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato che alla RdS dichiara «Come Confartigianato abbiamo creduto in questa iniziativa tanto è vero che siamo stati una delle prime organizzazioni imprenditoriali a sostenerla e sottoscrivere un protocollo di intesa con il ministero. Il successo di Garanzia giovani, tuttavia» precisa il segretario generale «dipenderà in gran parte dalle scelte concrete che le singole Regioni, a cui è affidata la principale attuazione del programma, saranno in grado di realizzare. Parliamoci chiaro: 20 modalità diverse, 20 partenze differenziate, venti tipologie di accesso alle venti Regioni non sono un punto di forza!»
Anche per questo motivo Confartigianato «ha costruito e messo on line un portale Valorizzati.it per far incontrare ragazzi, scuole e imprese dove c’è la descrizione delle attività artigiane, le scuole statali e regionali di formazione per quel mestiere, le storie di imprenditori che ce l’hanno fatta, le imprese artigiane di quel settore di attività in quel territorio», spiega Fumagalli. Il problema della differenziazione territoriale di cui parla è subito evidente: se, infatti, in alcune regioni si stanno già chiamando i giovani per i primi colloqui, ce ne sono altre che sono ancora ben lontane dal far partire la Garanzia. «In Liguria nei fatti non è ancora partita» spiega Costi, Confartigianato Liguria, alla Repubblica degli Stagisti «perché entro il 15 settembre dovranno rispondere i soggetti territoriali per dare tutto il pacchetto domanda e offerta di lavoro. E poi c’è anche una scarsa motivazione dei giovani a iscriversi a una banca dati senza avere certezza di riuscire a ottenere una risposta».
Tra i motivi per cui nonostante gli incentivi le aziende mostrino scarso interesse verso questo programma Jole Vernola evidenzia anche la fase di crisi economica che «unitamente alle difficoltà che sconta qualsiasi programma in fase di avvio, non ha consentito di sviluppare pienamente le opportunità occupazionali incentivate per le quali occorre in ogni caso che vi sia un inizio di ripresa economica» spiega il direttore politiche del lavoro di Confcommercio. Tema su cui è decisamente d’accordo Stefano Di Niola «La Cna sostiene da secoli che il lavoro non si crea attraverso forme di incentivazione ma se c’è un’economia che riparte. E non c’è incentivo che possa convincere un’impresa ad assumere se non ha un mercato. Basti pensare» sottolinea il responsabile Cna «che nel provvedimento Sblocca Italia il Governo per finanziare gli ammortizzatori in deroga ha preso le risorse degli incentivi previsti dal governo Letta per le assunzioni. Perché in questa fase sono risorse inutilizzabili e inutilizzate. Bisogna prima cercare di mettere insieme gli strumenti per far ripartire l’economia».
Un punto su cui sembrano essere d’accordo tutti: la garanzia giovani potrebbe anche funzionare ma prima è necessario che riparta il mercato. Senza questo è difficile che le aziende, di qualsiasi tipo e settore, possano decidere di fare un investimento assumendo giovani. La Garanzia però, nonostante le difficoltà, non deve arrestarsi. Su questo punto Di Niola è deciso: «Deve essere migliorata e potenziata. Anzi, bisogna riflettere sul fatto che alcuni decreti previsti che assegnano risorse a Italia Lavoro non sono stati ancora sbloccati. E poi penso che vadano rinforzate le possibilità di startup di impresa che pure sono presenti all’interno della garanzia giovani. Lasciare quindi» conclude «un po’ di spazio ai giovani che mettendoci passione e impegno economico personale rischiano e si mettono a disposizione del mercato per creare nuove tipologie di attività».
A tre mesi dall’avvio del programma che avrebbe dovuto, almeno nei piani del Parlamento europeo e in quelli prima di Letta e poi di Renzi, riuscire a ridurre la disoccupazione tra i giovani italiani e aiutare l’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro, ancora una volta l’Italia si trova al palo. Con numeri irrisori, piani che nonostante l’avvio non sono mai entrati pienamente a regime e una disorganizzazione tipicamente italiana tra gli enti che dovrebbero incentivare questo programma. E alla fine tutto questo lede un unico destinatario: il giovane italiano, che si demoralizza a tal punto da non registrarsi nemmeno su un portale che dovrebbe, almeno sulla carta, aiutarlo a costruire il suo futuro.
Marianna Lepore
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