Si parla molto di Garanzia Giovani, un piano pensato per tutti i Paesi europei con tassi di disoccupazione giovanile superiori al 25%. La diversità di approccio dei singoli Stati ha creato dei problemi, visto che in un report della European Court of Auditors, pubblicato pochissimi giorni fa, si evidenzia che al momento la Commissione europea non ha ancora un quadro dettagliato delle spese necessarie per supportare il piano, motivo per cui c’è il rischio che il finanziamento totale possa non essere sufficiente per attuarlo. La Repubblica degli Stagisti ha cercato di capire se l’Italia sia l’unico paese in cui l’implementazione della Garanzia procede a rilento o se non sia tutto il Piano ad avere delle difficoltà nella sua applicazione, partendo da tre documenti: il report della Corte dei conti europea, la ricerca della European Trade Union Institute e il rapporto della Commissione europea pubblicato a metà marzo.
«Il livello di implementazione in Europa varia a seconda dei Paesi e bisogna tener presente che in alcuni di questi esisteva già», spiega alla RdS Margherita Bussi, ricercatrice dell’European Trade Union Institute e curatrice, sotto la supervisione di Patrick Itschert e Ignacio Doreste dell'Etuc, della ricerca «The Youth Guarantee in Europe», conclusa a fine 2014. «Finlandia, Austria e Svezia prevedevano già che ci fosse un intervento tempestivo a favore dei giovani disoccupati sotto forma di formazione e offerta di lavoro» specifica la ricercatrice. «Le varie situazioni locali hanno un peso enorme sulla capacità di implementazione. La Commissione, poi, aveva imposto inizialmente dei tempi impraticabili, perché i governi nazionali dovevano rispettare dei criteri precisi, non facili da mettere insieme, in poco più di un anno e mezzo».
I ritardi nell’applicazione del Piano sono da cercare nell’utilizzo dei fondi FSE. Se Italia e Francia hanno deciso di creare un Piano operativo a parte per usare i fondi speciali della Youth Employment Initiative e «sono quindi stati operativi quasi subito dopo la loro approvazione, altri Paesi hanno scelto di legare questi fondi alla programmazione del fondo sociale europeo 2013-2020 e questa scelta ha prolungato i tempi». Idea condivisa anche da Massimiliano Mascherini, research manager all’Eurofound, la fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che da tempo si occupa proprio dei Neet. «I governi hanno iniziato adesso a implementare la Garanzia giovani, che per certi Stati membri è una sorta di rivoluzione nel modo di intendere e organizzare le politiche giovanili. Dopo la sottomissione dei piani di implementazione nazionali dell’inizio del 2014, nel semestre successivo ci sono state le prime azioni da parte dei governi al fine di attivare la Garanzia, quindi pensare non solo alle opportunità da offrire, ma stabilire anche quei servizi necessari per la personalized interview che dovrebbe consentire quel successo registrato nei paesi del nord. Ma poiché molti Paesi hanno punti di partenza diversi fra loro, ognuno ha lanciato la GG nel proprio stile. Possiamo quindi dire che siamo a una fase iniziale dell’implementazione».
Un dato che emerge dalla ricerca «The Youth Guarantee in Europe», fa riflettere: lo scarso investimento, solo lo 0,03 per cento del Pil, che il nostro Paese spende per il mercato del lavoro, nonostante la media europea sia ben al di sopra, allo 0,21. Mascherini sostiene che la «Garanzia giovani invertirà inevitabilmente questa tendenza» che in Italia, a suo avviso, vorrà dire irrobustire i servizi per l’impiego attraverso investimenti che permettano di fornire servizi come le personalized interview.
C’è un altro elemento evidenziato nella ricerca: i sindacati non sono stati coinvolti nello stesso modo ovunque nell’applicazione del piano e secondo Margherita Bussi «Se l’idea è quella di promuovere il modello tedesco di concertazione e partecipazione sociale nella promozione degli apprendistati e delle formazioni adattate al mondo del lavoro, è necessario far partecipare le parti sociali. Questo garantisce un equilibrio nella scelta delle direzioni di formazione, ma anche il pieno riconoscimento, da parte di sindacati e impresa, dell’apprendista come parte integrante, anche se in formazione, dell’azienda». Il ruolo dei sindacati poi, sarebbe stato fondamentale per sensibilizzare i giovani ai loro diritti nel mondo del lavoro, per difendere i loro interessi in fase di negoziazione e per continuare a spingere per un approccio rivolto alla crescita e non ai tagli.
L’Italia non è però, come detto, l’unico paese in ritardo nell’implementazione della Garanzia. «È difficile stabilire quale paese sia più avanti. Ci sono differenze anche tra le singole regioni perché non tutte ricevono i finanziamenti dell’Unione europea. Alcune regioni in Spagna incontrano delle difficoltà, ma anche in Croazia e Francia le missioni locali hanno problemi nel gestire un incremento del pubblico giovane. Le cose vanno meglio in Finlandia, ma lì la Garanzia era partita già nel 2013» spiega Bussi.
Anche Mascherini evidenzia che «non siamo il Paese che va più a rilento, i nostri vicini in Spagna non stanno meglio e lì la Garanzia ha preso una direzione totalmente ristretta all’impiego con una forte enfasi sul self employment. Poi c’è la Grecia che sta ancora peggio». La vera particolarità italiana, che secondo il research manager Eurofound crea dei problemi sta nel fatto che da noi si includono i giovani fino a 29 anni, arrivando a 2milioni di neet. «Pensare di integrare un bacino simile dall’oggi al domani è molto difficile. Ma l’implementazione della Garanzia dovrebbe essere vista come un processo che migliora pian piano, con le offerte che cominciano a confluire nei database e a essere abbinate con i job seeker».
Perché il sistema vada a regime da noi servirebbero centri per l’impiego più qualificati. «Dovrebbero essere messi in condizione di affrontare e indirizzare le situazioni più complesse, come avviene nei paesi che hanno ideato il sistema della Garanzia, penso a Svezia e Finlandia. Quindi c’è bisogno di più personale e che sia anche più qualificato e specializzato» osserva Mascherini, che sull’opportunità di aprire alla collaborazione di agenzie per il lavoro private accreditate, come Lombardia e Lazio stanno facendo, dice: «In Europa si sta già andando verso l’uso di agenzie private, tanto che si parla di “servizi per l’impiego” e non più di “public employment services”». Anche se la Bussi in questa scelta intravede «il rischio che vengano ancora una volta trasferiti soldi ad agenzie private per fare dei lavori che avrebbero comunque fatto, anche senza risorse europee».
Anche se ancora lontana dalla sua totale implementazione, la Garanzia giovani ha dei lati positivi, messi in luce dal rapporto pubblicato a metà marzo dalla Commissione europea, che sottolinea come essa sia riuscita a stimolare gran parte dei Paesi a ripensare il proprio approccio alle politiche per l’occupazione. Giudizio condiviso da Bussi: «Ha avuto il merito di sollevare problemi seri come la mancanza, in alcuni Paesi, di vere politiche attive del mercato del lavoro». Ma non crede che la condivisione di buone pratiche tra singoli Stati membri nell’applicazione della Garanzia possa servire a un suo miglior utilizzo. Di diverso avviso Mascherini: «Penso si possa imparare dalle best practices. Ad esempio sulla Garanzia giovani c’è molta discussione sul fatto che l’opportunità debba essere offerta entro quattro mesi a tutti, sia ai più a rischio disoccupazione sia a quelli che sono in un periodo di transizione tra un lavoro e un altro. In Svezia, invece, Youth Guarantee si attiva dopo quattro mesi dalla registrazione, prima solo in pochi casi. Una volta registrato al centro per l’impiego il giovane va a fare questa personalized interview» spiega alla Repubblica degli Stagisti il research manager Eurofound «poi si fa un piano di sviluppo individuale per il suo ingresso nel mercato del lavoro e sulla base di questa intervista si calcolano degli indicatori sulla possibilità che diventi un disoccupato a lungo termine. A quel punto, in base ai risultati, viene offerta subito l’opportunità, per integrarlo nel mercato del lavoro. Altrimenti l’offerta si attiva dopo quattro mesi, perché si pensa che sia capace di trovare da solo un’occupazione».
Un sistema che in Svezia è automatizzato e che ottiene buoni risultati perché fa canalizzare le risorse verso le persone che sono più a rischio di restare escluse dal mercato del lavoro. Secondo Mascherini potrebbe essere utilizzato in Italia per fare lo screening iniziale, ma dovrebbe essere adattato al nostro contesto. Dagli altri paesi l’Italia insomma potrebbe imparare. Una cosa è sicura: fare un bilancio sullo stato di avanzamento della Garanzia Giovani in Europa a soli undici mesi dal lancio del programma a detta degli esperti è decisamente prematuro. «Per i risultati sul mercato del lavoro bisogna aspettare un anno e mezzo, per vedere i primi ragazzi che escono dalle offerte ricevute. E bisogna anche seguirli nel tempo» dice la Bussi. Che evidenzia un altro problema: «I sussidi dati alle aziende che assumono Neet sono stati erogati anche in maniera retroattiva.
Non si può, quindi, stabilire se quelle aziende hanno impiegato i giovani grazie al sussidio, semplicemente perché non esisteva all’epoca dell’assunzione. Un elemento che rende complicata ogni valutazione». Tempi lunghi su cui è d’accordo anche Mascherini: «per vedere se il programma è stato seriamente implementato bisognerà aspettare la fine del 2015 e per verificare la sua efficacia dovremo attendere un altro anno».
Al momento, però, c’è il rischio che il finanziamento totale stanziato per la Garanzia possa non essere sufficiente per attuarla. È l’analisi della European Court of Auditors di pochissimi giorni fa a metterlo nero su bianco. Bussi conferma alla Repubblica degli Stagisti che effettivamente i dati precisi sul costo di attuazione mancano, perché gli Stati non hanno detto quanto intendono spendere per coprire la popolazione interessata dal programma. «Mancano i numeri sui neets, ovvero del bacino potenziale dei giovani interessati. Ci sono quelli raccolti da Eurostat, ma non sono sufficienti. Il fatto, però, che la Corte abbia messo in luce questo problema credo possa essere utilizzato come leva dalla Commissione per spingere gli Stati a dare delle indicazioni più chiare sui costi reali. Fino al 2016 ci sono i soldi del Fondo europeo, che possono coprire almeno alcune delle misure potenziali. Ma se non c’è continuità di finanziamento nazionale, probabile nei paesi dell’est europeo ma anche in Italia, potrebbe concludersi tutto in una bolla di sapone».
La Court of Auditors evidenzia, poi, che non si definisce in nessun documento cosa sia “buona qualità” e questo porta al rischio di avere – come è capitato molte volte in Italia – offerte incoerenti ed inefficaci. «Effettivamente manca, ma è difficile che la Commissione possa stabilirlo perché è di competenza degli Stati membri» osserva Bussi: «Certo il fatto che ci sia una definizione così larga dà spazio a delle omissioni, tanto che in Italia il 74% delle offerte di lavoro sono solo temporanee e non includono la formazione. È importante che la Corte abbia evidenziato questo problema perché permette alla Commissione di andare più in profondità, nel momento in cui ci sarà un sistema di monitoraggio».
Il punto centrale del report, secondo Bussi, è che finalmente sono state connesse le condizioni iniziali stabilite per erogare i soldi della Youth employment Initiative con il piano di implementazione della Garanzia. «È importante perché i piani di implementazione sono stati presi sotto gamba. Connettere le condizionalità ex ante con le promesse degli Stati è un buon modo per controllare che ci sia una risposta coerente tra quello che si promette e quello che poi si fa».
Tutte spiegazioni che obbligano a spostare più avanti il tempo per trarre le somme e, alla luce dei dati, capire se la Garanzia Giovani ha finalmente rilanciato l’occupazione per i giovani in Europa o se invece ha incontrato troppe difficoltà nella sua applicazione.
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