Si può essere mamme, o papà, magari liberi professionisti e lavorare in uno spazio accogliente in cui avere vicino i propri figli piccoli, contemporaneamente seguiti da professioniste esperte, senza dover necessariamente separare la dimensione personale da quella lavorativa? A quanto pare è possibile: succede, ad esempio, a Milano dal dicembre 2012 con Piano C, «un’associazione per lavorare in modo diverso».
«Il nostro obiettivo era di cambiare le dinamiche attuali del mercato del lavoro, con un particolare focus sulle donne» spiega alla Repubblica degli Stagisti Raffaele Giaquinto, 29 anni, co-founder e strategist di Piano C, con precedenti collaborazioni in agenzie di comunicazione e alla commissione europea e attualmente consulente sui temi dello smart working, del social innovation business e della change communications. «La nostra idea era di avere uno spazio fisico che permettesse di svolgere le proprie attività professionali, ma avere anche dei servizi che facilitassero l’equilibrio con la propria vita privata, come lo spazio infanzia o i servizi commerciali con il quartiere, come la spesa o la lavanderia. Da quella intuizione abbiamo iniziato a sperimentare modelli organizzativi che sono riusciti a dare risposte alternative al rapporto donne - lavoro».
Così è nato Piano C, non solo come associazione, ma proprio come spazio fisico: 250 metri quadri di superficie in cui ci sono venti postazioni in open space, cinque uffici e sei sale multifunzione, oltre alla cucina e alle due aeree per i bambini con educatrici sempre presenti. «Attualmente abbiamo una community globale, quindi persone che frequentano il nostro spazio ma non tutti i giorni, di 2500 contatti. In una settimana, tendenzialmente, ruotano un centinaio di persone. Quindi in un mese, se calcoliamo le persone che partecipano agli eventi, usano il coworking e lo spazio infanzia, abbiamo all’incirca tra le 300 e le 500 persone. Di queste circa il 30% è rappresentato da uomini».
Proprio perché gli utenti hanno esigenze lavorative diverse tra loro, anche i costi per far parte di Piano C sono modulari: si va dal day pass di 20 euro al giorno al carnet da 10 ingressi a 180 euro, passando per il C-sono a 120 euro l’anno, gli ingressi illimitati Open a 250 euro al mese e al C-year a 2400 euro l’anno. In ognuno dei pacchetti sono inclusi servizi diversi, come il numero di ore comprese di sala riunione o i servizi salvatempo e l’uso di cucina, armadietti o fotocopiatrice.
Il progetto iniziale di aiutare la conciliazione lavoro - famiglia è stato raggiunto, secondo Giaquinto «perché abbiamo dimostrato in due anni che modificando alcuni elementi dei modelli organizzativi si poteva rendere possibile il lavoro e l’imprenditoria femminile, il rilancio professionale, le connessioni. La sperimentazione del laboratorio di Milano è assolutamente riuscita, adesso comincia la nuova sfida». Che è stata lanciata pochi giorni fa e si chiama Piano C Partner Network.
«In due anni abbiamo ispirato un certo tipo di cambiamento culturale, perciò ora lanciamo questo network nazionale che ha l’obiettivo di creare una rete di altri co-working in giro per l’Italia, con caratteristiche simili a Piano C, che vadano a lavorare sulla dimensione della conciliazione e che facciano anche attività di advocacy presso le istituzioni. La verità» riflette Giaquinto «è che lo spazio Piano C è una meravigliosa storia, ben riuscita, e ora con una rete si vuole effettivamente andare a cambiare la cultura all’interno del Paese».
I partener attuali sono realtà a volte nate prima altre dopo il loro progetto, ma tutte in qualche modo si sono ispirate a Piano C, che in due anni ha ricevuto oltre 100 richieste di replicabilità, perché ha soddisfatto bisogni «che non sono radicati solo a Milano, ma in tutta Italia».
La rete al momento è composta da nove partner, Piano C incluso, che coprono tutta la dorsale italiana da nord a sud: Milano, Mestre, Parma, Bologna, Firenze, Roma, Matera e Palermo. «Tutti mantengono una propria identità rispetto alla propria impostazione sul modello di co-working. Condividiamo, però, il concetto di community e i servizi. Tra questi in particolare il co-baby e i servizi salvatempo».
Il primo è uno spazio, nel caso di Piano C di 30 metri quadri, aperto dalle 9 alle 19, su prenotazione, per bambini da 3 mesi a 3 anni e con una seconda sala aperta il pomeriggio per bambini fino a 12 anni tutti seguiti da professioniste qualificate. I servizi salvatempo, invece, sono una rete di convenzioni e professionisti connessi alla comunità di Piano C che facilitano e migliorano la qualità della vita degli aderenti. Si va dal servizio di lavanderia alla spesa, passando per la sartoria a domicilio e la cena pronta da portare a casa, fino al commercialista o al grafico. «È un modello che definiamo no-profit, nel senso che Piano C ha creato la rete di convenzioni di cui possono usufruire i nostri utenti, ma non applichiamo nessuna fee di intermediazione, semplicemente ottimizziamo l’incontro tra domanda e offerta», spiega Giaquinto che aggiunge «Chiaramente questi servizi sono molto gettonati perché facilitano enormemente la gestione del tempo ed è un modello che ha ispirato anche altre realtà del nostro network».
Se Piano C è un servizio per venire incontro alla lavoratrice - o al lavoratore - non dimentica di avere davanti anche una persona: per questo offre anche il “terzo tempo”, per consentire l’equilibrio, la soddisfazione e la felicità attraverso incontri dedicati alla cura delle persone, oppure momenti di formazione e di networking che aiutano anche a far nascere nuovi progetti lavorativi.
«Da noi sono ripartite professionalmente centinaia di donne, ad esempio con una start up, usando il co-baby, il grafico, il legale ma soprattutto creando alleanze all’interno di questo spazio per far crescere la propria impresa», spiega Giaquinto. Perché è qui, gomito a gomito, che la maternità spesso sfociata in isolamento diventa incrocio tra domanda e offerta e nuovo spazio per le connessioni.
Co-fondatore di Piano C, Raffaele Giaquinto è deciso nel dire che la sua vita «è sicuramente migliorata» da quando ne fa parte, anche se lui non ha ancora figli, perché vedere le persone che riescono a ripartire e sono felici «è una ricchezza intangibile che ha arricchito il mio percorso professionale». E sul fatto che un padre possa sentirsi a disagio a farne parte per la forte componente femminile, non ha dubbi: «Assolutamente no. C’è sicuramente una presenza inferiore, ma non manca. Ci sono delle meravigliose storie di papà che lavorano da remoto o in autonomia e decidono di farlo portando con sé i figli, ottimizzando il tempo professionale».
I modelli sperimentati non restano solo chiusi dentro lo spazio fisico di Piano C, perché una delle attività è anche la consulenza aziendale. «Il progetto più alto che abbiamo è MAAM, acronimo di Maternity As a Master, che è un libro uscito a settembre 2014 con Bur editore, dove si raccontano le teorie scientifiche sulle quali si basa questo percorso. Una teoria che si fonda sull’idea di sfruttare le competenze genitoriali e trasformarle in professionali. Un percorso che ha fortemente rinnovato certi ragionamenti rispetto al mondo delle risorse umane, della gestione delle persone, della valutazione dei talenti e che abbiamo avuto la fortuna di sperimentare con grandissime aziende come Pirelli, Unicredit, Nestlé, Invitalia».
La richiesta principale che è stata avanzata da tutte le aziende è quella di mettere in campo nuove soluzioni di gender balance a cui Piano C ha sempre risposto proponendo modelli che non avessero una ricaduta solo sulla neo-genitorialità, ma che riuscissero a rinnovare la cultura aziendale globale. Escogitando quindi soluzioni che aiutassero l’azienda a sviluppare il proprio business, a valutare i talenti e a far aumentare la felicità. Perché il punto cruciale, per Piano C e chi applica le sue teorie, è che un genitore felice, che riesce a lavorare senza accumulare sensi di colpa verso il figlio sapendolo vicino e seguito da gente competente, è un lavoratore più felice e di conseguenza porta maggior profitto anche all’azienda.
Idee che fanno di Piano C un modello positivo da replicare in giro per l’Italia. Ed è proprio questo l’obiettivo per il nuovo anno: far crescere sempre di più i progetti realizzati e diffonderli in altre realtà mantenendo forti, però, identità e specificità locali.
Marianna Lepore
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