Ci sono circa 10mila laureati italiani che, negli ultimi 4 anni, sono rientrati in Italia dall'estero e che adesso rischiamo di perdere di nuovo. Di far ripartire ancor più arrabbiati di quando erano partiti la prima volta: traditi da uno Stato che ha fatto loro una promessa, per convincerli a tornare, e che adesso vorrebbe rimangiarsela.
I 10mila di cui parliamo sono tornati grazie a una legge che si chiama Controesodo, la n° 238 del 2010, e che prevede dei benefici fiscali per chi sceglie di rientrare in Italia. Questo perché uno dei problemi maggiori di competitività del mercato del lavoro italiano, specialmente per quanto riguarda i giovani, sta proprio nelle retribuzioni: lo stesso trentenne, con lo stesso curriculum e le stesse capacità professionali, in Italia guadagna purtroppo molto meno che nel resto del mondo. Non si tratta di ipotesi, ma di realtà tangibili, confermate da studi e ricerche.
Per colmare dunque questo gap, nel 2010 alcuni parlamentari - capitanati da Guglielmo Vaccaro e Alessia Mosca - riuscirono a far approvare una legge bipartisan, garantendo un vantaggio economico a quegli expat che avessero deciso di scommettere sull'Italia, riportando qui cervello e competenze. Una legge facile e vantaggiosa, che diceva in sostanza: sei una laureata under 35 che da almeno 2 anni risiede stabilmente fuori dall'Italia? Se torni, per alcuni anni pagherai solamente il 20% delle tasse che dovresti pagare sui tuoi guadagni, con un abbattimento del restante 80%. Idem per gli uomini, con un abbattimento leggermente minore, pari al 70%. Condizioni ovviamente allettanti: da allora ad oggi, migliaia di giovani - 6mila tra il 2010 e il 2012, poi con un ritmo di circa 1.500 "singoli rientrati" all'anno, con un impatto in termini di "famiglie" ancor più importante - hanno usufruito di questa legge, che nel frattempo è stata a rischio cancellazione, e poi invece prorogata proprio a gennaio del 2015 fino a tutto il 2017.
Ora però è successo un pasticcio enorme. Perché con un decreto legislativo del settembre 2015, “Disposizioni recanti misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese”, all'articolo 16 è stato predisposto un nuovo “regime speciale per lavoratori rimpatriati”. Per accedere a questo nuovo "scudo fiscale" cambiano i requisiti (almeno cinque anni all'estero anziché due, attività o studi di particolare rilevanza, ma niente più limiti di età): la misura è meno vantaggiosa nell'immediato (abbattimento solamente del 30% per tutti, e non più dell'80% per le donne e del 70% per gli uomini) ma ha una durata stabile e predefinita di cinque anni dal rientro anziché una data di scadenza. Il punto è che questo decreto legislativo confligge in maniera clamorosa con la legge Controesodo. E allora il decreto legislativo, semplicemente, ha abrogato la proroga approvata a gennaio. Cancellando di fatto Controesodo.
Eppure questa legge non genera maggiori oneri per lo Stato. A confermarlo è la Ragioneria dello Stato: «In sede di valutazione della norma […] non sono stati ascritti effetti sul gettito, in considerazione della tendenza annuale di rientri dei soggetti numericamente esigua (ove non nulla). In particolare, gli effetti positivi sul gettito determinati dalla tassazione (ancorché agevolata) dei redditi dei soggetti che decidono il rientro in Italia in conseguenza della norma, appaiono più che adeguati a coprire gli eventuali modesti effetti negativi». Confermando in maniera chiara «la neutralità finanziaria della disposizione». Insomma, questi incentivi alla fine allo Stato non costano nulla.
E allora perché cancellarli? Un "ex expat controesodato", Francesco Rossi, ha lanciato una petizione online su Firmiamo.it, raccogliendo finora 900 firme, con l'obiettivo di sensibilizzare le istituzioni e allertare tutti i controesodati rispetto quanto successo, dato che «la vicenda dell'abrogazione della 238 è stata caratterizzata da poca visibilità mediatica e da messaggi contraddittori da parte delle istituzioni: continuiamo ad entrare in contatto con persone che scoprono oggi quanto successo con stupore e preoccupazione».
Rossi, 37 anni, laureato in Economia alla Bocconi con passione per i mercati finanziari, ha passato 8 anni a Dublino come manager nella società di gestione del risparmio del gruppo Unicredit: «Già allora non c'era confronto fra condizioni lavorative estere ed italiane, fra stipendio, tassazione, welfare, ambiente di lavoro stimolante internazionale, giovane e aperto». É rientrato in Italia nel 2010 insieme a sua moglie, anche lei italiana ex expat: «Il prezzo da pagare é stato uno stipendio più basso del 30% per me, e per entrambi rinunciare a qualsiasi prospettiva di carriera interna». Adesso fanno base a Milano, hanno avuto due figli, ma l'insoddisfazione è forte: «In questi anni varie volte ci siamo guardati indietro e abbiamo pensato di ritrasferirci fuori, sia per noi che per i figli». Non che manchi il lavoro, ma c'è l'amarezza di sentirsi traditi: «Sulla proroga della legge Controesodo onestamente abbiamo fatto affidamento anche per comprarci casa. I benefici fiscali non sono mai l'unico fattore in queste decisioni di vita, anzi altre variabili pesano di più, ma possono far pendere l'ago della bilancia, magari a favore di un paese che i lavoratori dipendenti giovani e ad elevata professionalità penalizza su tanti altri fronti». Un Paese come l'Italia, insomma.
Il fronte degli "ex expat" sta cercando sponde in Parlamento per sanare il pasticcio. «Sono stati presentati vari emendamenti al Senato, dove è cominciato l'iter del ddl stabilità, per intervenire sul problema» riassume Rossi: «Noi siamo stati in contatto con il deputato Alessandro Pagano, che come capogruppo di Area popolare in commissione Finanze alla Camera si è fatto promotore di un emendamento che va nella direzione auspicabile di sanare gli effetti distorsivi dell'abrogazione per le persone già rientrate in Italia ripristinando per loro il regime delle agevolazioni della legge 238; e inoltre, guardando al futuro, va a estendere gli incentivi previsti dalla nuova legge alle categorie di soggetti individuati dalla legge 238, con agevolazioni rafforzate per i giovani, facendo sì che la legge Controesodo continui a vivere accanto al nuovo regime».
Parallelamente gli ex expat hanno anche contattato il ministero dell'Economia, che si sarebbe impegnato «a intervenire all'interno della legge di stabilità», e il governo, «che si è mostrato ricettivo e sembra aver individuato una soluzione tecnica, da mettere in pratica tramite un emendamento, che andrebbe comunque a sanare in modo soddisfacente la situazione evitando di penalizzare i soggetti rientrati in Italia fino al 31.12.15, permettendo loro di accedere ai benefici della 238 come prorogati a gennaio 2015». Il governo starebbe aspettando però che l'iter degli emendamenti in commissione sia terminato per andare a presentare il proprio: «Sia questa soluzione sia quella Pagano sono a nostro avviso buone soluzioni, ma al momento siamo preoccupati in quanto constatiamo che ci sono altri emendamenti contrari e rimaniamo quindi nell'incertezza fino all'ultimo».
Gli emendamenti presentati effettivamente sono diversi, alcuni «di senso anche opposto e discordante». Quello che preoccupa di più i controesodati è stato presentato ieri in Senato dalle relatrici al disegno di legge di stabilità, Magda Zanoni (Pd) e Federica Chiavaroli (Ap): nella sua formulazione vorrebbe salvaguardare solamente gli expat rientrati in Italia tra il 1° marzo e il 6 ottobre 2015. Quando invece la logica vorrebbe che tutte le persone già rientrate in Italia potessero continuare a beneficiare fino a fine 2017 delle le vecchie regole: pacta sunt servanda.
C'è anche chi dice che Controesodo affrontasse il problema della fuga dei giovani dall'Italia con l'approccio sbagliato. Che non si dovrebbe favorire il rientro di chi è andato all'estero con benefici fiscali, perché non è a fronte della garanzia che si pagheranno meno tasse che i giovani dovrebbero aver voglia di tornare. Rossi risponde pacatamente a queste critiche indirette: «È una considerazione corretta: soltanto i benefici fiscali non sono sufficienti a fare recuperare al Paese competitività e attrattività per il capitale umano. È evidente che si devono creare opportunità occupazionali con una serie di misure su più fronti. La legge 238 è stata però un punto di partenza; non dobbiamo dimenticare che le figure professionali che queste misure cercano di attrarre sono figure per cui il mercato del lavoro di riferimento è almeno di dimensione europea, sono cioè individui ad elevata mobilità; diversi altri paesi europei prevedono incentivi simili per chi si trasferisce dall'estero». Rilevando mestamente che una delle carenze più importanti del sistema italiano, al di là all'aspetto economico, in questa vicenda viene drammaticamente alla luce: «Un altro aspetto fondamentale per attrarre capitale, umano e fisico, e investimenti, è certamente la certezza del diritto. E quanto successo con gli incentivi della 238, prorogati a gennaio e abrogati a ottobre, non è certamente un esempio edificante».
Insomma il rischio legato a questa vicenda è quello che gli expat guardino ancora una volta all'Italia con scetticismo, e che non si fidino più di programmi di incentivo del rientro: «Se la situazione non viene corretta, la percezione sarà negativa riguardo all'affidabilità di ogni regime agevolativo futuro: oggi c'è, domani chissà. La percezione sarà di un approccio "estemporaneo" e non strutturale a questo tema, che guarda alla visibilità mediatica di una stagione più che all'impatto strutturale nel tempo».
«Molti “controesodati” rischiano di trovarsi a metà del guado, con un contratto di lavoro all’estero lasciato alle spalle e di fronte un Paese che conferma tutte le sue contraddizioni e incertezze del quadro legislativo» conferma Alessandro Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano e presidente dell'associazione Italents: «Come pensiamo di attrarre investimenti o talenti stranieri se trattiamo così i giovani laureati italiani disposti a riportare il proprio talento nel paese di origine? Nella parabola del figliol prodigo il padre decide di offrire il vitello grasso al figlio tornato. Un figlio che non si era certo distinto positivamente nel suo soggiorno altrove e che torna come ripiego, non come talento di successo. L’Italia invece ha molti veri talenti, che hanno lasciato un percorso professionale di valore, rischia di offrire solo una presa in giro. Prima la promessa di un incentivo a tornare e poi, una volta lasciato il lavoro e progettato il rientro, lo scontro duro con una politica inaffidabile. Se volevamo alimentare e consolidare nei giovani espatriati un senso di sfiducia verso il paese lasciato, questa è la strada giusta».
Se la situazione degli incentivi non verrà risolta è probabile che i controesodati scelgano di abbandonare nuovamente l'Italia: «Senza i benefici fiscali, la bilancia penderà sempre più verso l'estero» ammette Rossi.
«Quella norma per me era un riconoscimento. Era come sentirmi dire "Lo sappiamo cosa hai passato, ma sei stata in gamba. Noi te lo riconosciamo e siamo davvero felici che tu sia di nuovo a casa"» gli fa eco Stefania Pizzuto, 32 anni, rientrata da Londra pochi mesi fa: «Sono riuscita quest'anno finalmente ad ottenere grazie alla mia società un posto nella filiale italiana, "certo" - mi sono detta - "andrò a guadagnare di meno, ma grazie alla normativa sugli incentivi fiscali sento comunque di avere capitalizzato quello che ho fatto in questi anni". Il mio commercialista mi aveva confermato che ero in possesso di tutti i requisiti per ottenere quei benefici di cui parlava la normativa - che felicità». E invece, se la spuntasse l'emendamento Zanoni-Chiavaroli, lei per pochi giorni verrebbe esclusa dagli incentivi: «Oggi sono arrabbiata. E riconosco a tratti la stessa identica sensazione per cui, pur se combattuta, sono andata via quattro anni fa. Sapere che in fondo poco è cambiato è incredibilmente frustrante».
Ma Guglielmo Vaccaro, uno dei promotori della legge Controesodo, promette ancora una volta il suo impegno: «Non ho parole per il pasticcio. Nel passaggio alla Camera presenterò un emendamento che ripristini la norma per tutti. Suggerisco intanto a tutti i rientrati e i "rientrandi" di far arrivare la loro voce di protesta a tutti i parlamentari: magari riusciremo a fare giustizia».
Eleonora Voltolina
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