Esempi positivi da offrire a quei ragazzi che non ne trovano molti intorno a sé. Parte da qui l'idea dell'Agenzia nazionale giovani di lanciare 'A model to dream'. Una mattinata con i giovanissimi del Corviale, tra le periferie più disagiate di Roma (oggi in fase di riqualificazione), di quelle che sembrano non lasciare scampo da giri di delinquenza e malavita. A loro hanno fatto visita personaggi noti, tutti accomunati da un percorso di riabilitazione scattato per condizioni di disagio fisico, sociale o economico, e poi coronato dal successo personale. Un'iniziativa che si inserisce nelle celebrazioni per i sessant'anni dalla firma dei Trattati di Roma e il trentennale del progetto Erasmus, patrocinata da più istituzioni tra cui il Comune di Roma e la Regione Lazio.
All'evento decine di ragazzi delle superiori, tra loro anche un piccolo gruppo di immigrati della cooperativa Isola Verde, sbarcati in Italia nel 2014 dopo ostacoli indicibili. La conduttrice del dibattito, Andrea Delogu, cerca di coinvolgerli nella discussione ma non se la sentono di condividere quei racconti. Troppa emozione. La stessa che si respira durante la proiezione del film Il più grande sogno, per la regia di Michele Vannucci, pluripremiata pellicola del 2016 che racconta la storia reale - «anche se a tratti romanzata» specificherà poi il protagonista nel dibattito – di Mirko Frezza. Romano, 43enne, finito in carcere ai 32 anni (ne ha scontati 7). Finale prevedibile dopo anni di strada e guai collezionati in un'altra zona difficile di Roma, La Rustica.
Finita la detenzione, tenta il riscatto, partendo dalla compagna e i tre figli. Oltre al successo al cinema, per cui continua a lavorare dopo l'incontro fortuito con Vannucci («Era venuto da noi per girare un documentario»), è oggi presidente del comitato di quartiere. «Quando me l'hanno chiesto ho pensato fossero disperati», scherza con la platea. Ma grazie al suo impegno nel nuovo centro «vengono distribuiti 650 pasti gratuiti, e forniamo anche assistenza medica». I suoi vecchi amici non l'hanno né capito né accettato, dopo quella scelta «mi hanno sparato due proiettili». «Ma non ho denunciato» fa sapere Frezza, «non avrei risolto niente: così ci sono andato a parlare».
«Il cinema per me ha significato recupero sociale, meglio degli istituti penitenziari» continua. «Venite da un posto in cui c'è assenza di tutto» ha detto ai ragazzi, «ma adesso avete l'età per fare quello che volete: prendete in mano la vostra vita e costruite qualcosa, perché poi a 40 anni è complicato farlo».
C'è anche il giornalista minacciato dalla mafia Paolo Borrometi, da tre anni sotto scorta dopo una brutale aggressione a Ragusa, «dove viene girato Montalbano», ricorda. «Era l'aprile del 2014, a una manifestazione stavo parlando di criminalità, ribattendo a chi diceva che nella nostra città la mafia non esistesse. Avevo appena pubblicato un'inchiesta che aveva portato all'arresto di un boss e allo scioglimento per mafia del Comune di Scicli». L'agguato è subito dopo, per mano di due incappucciati. «Ancora oggi ne porto le conseguenze, con una menomazione alla spalla del 30 per cento». Ma Borrometi non si è mai arreso, neppure dopo il secondo tentativo di intimidazione «quando mi bruciarono la porta di casa». Eppure «non mi sento un eroe, né un esempio: ho solo fatto il mio lavoro». Che significa «informare di quello che si vede perché si ha la responsabilità di farlo». Missione portata avanti nonostante «mi dicessero che me la stavo andando a cercare, e mi avessero isolato». Ma la libertà «non l'ho persa, perché ho preservato quella di scrittura e di pensiero, quindi ne è valsa la pena».
Tra i personaggi anche Federico Morlacchi, nuotatore paraolimpico. Ha un femore più corto, ma a 23 anni conta dieci ori europei e due mondiali vinti. «Non mi sento un campione ma un ragazzo che fa quello che lo fa divertire» ha spiegato. E ancora Lucia Annibali, avvocata finita nelle cronache per il terribile attacco con l'acido subito su mandato dell'ex, Luca Varani, poi condannato a vent'anni per tentato omicidio. Convive con un volto sfregiato che – dopo numerose operazioni – sta lentamente ricostruendo. «L'ustione e la fatica di sopportare un dolore fisico quotidiano sono diventati importanti per me». Ci sono lo sguardo costante degli altri e una sofferenza che «oggi ringrazio perché mi aiuta a dare il meglio e a essere una persona concreta, che vive senza troppe sovrastrutture».
Nell'educare a distinguire il bene dal male e a non idealizzare icone del crimine anche i media hanno una fetta di responsabilità. Per Borrometi «il problema non è fare le interviste a personaggi come il figlio di Totò Riina, ma il modo in cui si fanno». Il punto è «far capire cosa sbagliano. E lo stesso devono fare le fiction».
Raccontare ad esempio storie come quella del piccolo Di Matteo, il bambino rapito da scuola e sciolto nell'acido per mano mafiosa. «Bisogna capire che questa è gente che non ci pensa due volte a compiere atti simili solo per arricchimento personale». Lo ribadisce Delogu, moglie di uno dei protagonisti di Romanzo Criminale, il Libanese, al secolo Francesco Montanari, spesso fermato dagli ammiratori «perché identificato con quel personaggio». «Ma come si fa a prendere a modello uomini simili, che magari mandano a prostituire la moglie e le sparano in testa?» ragiona Frezza. I ragazzi sono attenti, ascoltano silenziosi. E Delogu li congeda con una speranza: «Che quando uscirete di qui qualcosa vi ronzi nella testa».
Ilaria Mariotti
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