Li chiamano «talenti», «cervelli in fuga». Ricercatori, medici, ingegneri, ma anche insegnanti, fotografi, designer e un sottobosco di lavoratori emigrati senza particolari qualifiche ma che, vivendo lontano da casa, hanno imparato a darsi da fare, senza piangersi addosso. E in qualche caso sono anche diventati imprenditori.
Sono circa due milioni gli italiani che hanno lasciato il paese negli ultimi dieci anni. I dati tengono conto solo degli iscritti all'Aire, l'anagrafe per i residenti all'estero. Ma molti connazionali non sono mai usciti allo scoperto: oltre a motivazioni di ordine fiscale, ce ne sono altre, meno conosciute. Ad esempio, il tentativo di non perdere il diritto al medico di base. Perché la sanità in Italia spesso funziona, e all'estero è persino rimpianta.
Il Parlamento ha cercato di affrontare il problema del «brain drain» a partire dal 2010. Risale a quell'anno l'approvazione di un testo bipartisan, la cosiddetta «legge Controesodo», che prometteva incentivi e sgravi fiscali a chi prenotava il biglietto di rientro per il Belpaese.
Competenze sulla frontiera della conoscenza, network relazionali, lingue: riportare a casa chi ha trascorso un periodo fuori dai confini patrii è diventato, da allora, un punto qualificante dell'agenda di tutti i governi, da quello guidato da Silvio Berlusconi all'attuale esecutivo gialloverde, passando per Enrico Letta e, naturalmente, Matteo Renzi.
Ma la partita per far rientrare i «cervelli in fuga» è più complessa di quanto si possa pensare. Il punto sono gli incentivi: cioè far pagare meno tasse a chi sceglie di tornare a vivere in Italia, permettendo quindi, a parità di stipendio, un “netto” più alto. Tradurre le buone intenzioni in politiche attive significa trovare una sintesi tra le aspirazioni di chi rientra - spesso lasciandosi alle spalle condizioni economicamente vantaggiose - e i principi costituzionali di progressività nella tassazione.
Dopo il 2010, la legge Controesodo è stata riscritta nel 2015. Nei giorni scorsi un nuovo capitolo: il Governo Conte ha approvato in Consiglio dei ministri il cosiddetto decreto Crescita, che contiene un articolo sui cosiddetti lavoratori «impatriati». Tra le novità, la defiscalizzazione per le imprese e l'eliminazione della laurea come requisito. Il testo prevede, inoltre, una defiscalizzazione del reddito imponibile che torna al 70% e un'estensione dei benefici in caso di figli o di acquisto di un immobile.
«Si parla sempre di attrarre imprese le imprese straniere e trattenere quelle italiane, ma senza il capitale umano è tutto inutile». A parlare è Giulio Centemero [foto a sinistra], 39 anni, deputato della Lega, professione commercialista e un'esperienza di quasi otto anni all'estero tra Scozia e Belgio. « Il know-how di ragazzi che hanno visto il mondo e possono portare nel nostro territorio le esperienze vissute altrove è indispensabile per creare valore. Abbiamo provveduto a ritoccare gli incentivi al rialzo, sul modello portoghese e iberico. In Spagna, in particolare, le agevolazioni durano 10 anni» spiega, precisando di non aver mai usufruito in prima persona degli incentivi.
Il decreto Crescita è stato approvato con la formula «salvo intese», che prevede eventuali modifiche da parte del Governo prima dell'invio alle Camere. C'è spazio, quindi, per l'attività di lobbying. Ad esempio, quella di «Gruppo Controesodo», community nata nel 2015 che raccoglie oltre diecimila expat rientrati in Italia. «Il testo va a rivedere l'impianto in maniera piuttosto sistematica, e non ho nessun problema a dire che il novanta per cento dei contenuti di questo articolo sono stati suggeriti da noi» rivela Michele Valentini, presidente dell'associazione. Trentanove anni e un lavoro nell'ambito di un grande gruppo bancario per cui si occupa di derivati, ha seguito passo per passo tutto l'iter: «Per questo dico che ci sono alcune distorsioni clamorose che abbiamo ovviamente già segnalato alla politica. Mi riferisco al fatto che la norma prevede che le nuove agevolazioni si applichino solo ai contribuenti che rientreranno a partire dal 2020».
Non è la prima volta che Controesodo suggerisce modifiche a un testo di legge. Un'attività di pressione costante sul Palazzo, che spesso è sfociata in un accoglimento delle richieste. Tutto in nome della «retention», il tentativo di trattenere dentro i confini chi già una volta si è chiuso la porta alle spalle. Un tentativo, spiegano, che passa necessariamente dagli sgravi fiscali: perché niente pare trattenere in Italia gli expat meglio degli incentivi. Il rovescio della medaglia? Una volta esauriti, molti, moltissimi fanno nuovamente le valigie. E vanno a cercare guadagni maggiori all'estero.
Antonio Piemontese
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