La notizia è di pochi giorni fa: secondo Eurostat l’Italia è agli ultimi posti nell'Unione Europea per numero di laureati. Dalle rilevazioni del 2007 risulta che tra gli italiani di età compresa tra i 25 e i 34 anni, solo uno su cinque ha finito l’università: per la precisione il 19%. A parimerito (o demerito) dell’Italia c’è l’Austria: sotto di loro solo Slovacchia (18%), Romania (17%) e Repubblica Ceca (16%). Ben lontani dalle capolista Cipro (47%), Irlanda (44%) e Francia (42%).
L’aspetto controcorrente della penuria di laureati italiani è che al numero esiguo non corrisponde nemmeno, come invece sarebbe logico, una proporzionale crescita delle opportunità di lavoro e dei livelli salariali, come già notava Massimo Livi Bacci – docente di Demografia e senatore PD – nel libro «Avanti giovani alla riscossa – come uscire dalla crisi giovanile in Italia» (edito dalla casa editrice Il Mulino - qui a sinistra la copertina). Tanto è vero che sulle pagine del Salvagente, quotidiano online dei consumatori, sono in questi giorni convogliate le voci sfiduciate di molti «laureati pentiti».
La funzione di «ascensore sociale» che una volta aveva l’istruzione universitaria è poi un lontano ricordo per gli italiani, almeno secondo la rilevazione di Eurostat: oltre la metà dei laureati proviene da una famiglia «colta», e solo uno striminzito 7,7% ha genitori con un basso livello di formazione.
Eppure gli studenti italiani sono veloci e brillanti: il profilo dei laureati 2008 elaborato da Cesop, agenzia che da anni si occupa di comunicazione aziendale per il recruitment di neolaureati e di employer branding, indica che in media diventano «dottori» a 25 anni e con un onorevole 105. E sempre più spesso arrivano alla laurea già con esperienze di stage alle spalle, come rileva Almalaurea – una sorta di consorzio delle università italiane a cui aderisce circa il 70% degli atenei – nel suo Rapporto annuale "Condizione occupazionale dei laureati": il 50,8% degli studenti universitari laureati nel 2007 (cioè circa 94mila persone su un totale di poco meno di 185mila) ne ha fatto almeno uno durante gli studi. In quattro anni questo numero è quasi raddoppiato: nel 2004 erano solo 47mila. Infatti la ricerca Recent Graduate Survey, che Cesop commissiona ogni anno a un istituto di ricerca indipendente, conferma che il 93,3% dei laureati ritiene ormai assolutamente indispensabile un periodo formativo all'interno dell'azienda.
Ma poi lo stage serve davvero a trovare lavoro ai laureati? Stando ai risultati dell’indagine CAWI “La qualità dei tirocini formativi previsti dai corsi di laurea” (condotta sempre da Almalaurea nell’aprile 2008 sui laureati che avevano concluso gli studi nel 2006 e avevano svolto un tirocinio formativo riconosciuto dal corso di studi), il 12,8% di chi fa un tirocinio rimane a lavorare nella stessa azienda. La percentuale sale al 21,3% se si prendono in considerazione solo i laureati quinquiennali, chiaramente più interessati all’inserimento lavorativo al termine dello stage. I dati Cesop aggiungono poi a questo quadro un particolare rilevante: quasi due laureati su tre (per la precisione il 59,4%) sarebbero disponibili a fare uno stage di sei mesi addirittura gratis, pur di avere l’opportunità di farsi conoscere da un’azienda e arricchire il proprio curriculum. Peccato che poi in realtà Almalaurea sveli che aver fatto uno stage durante o dopo l’università incrementerebbe soltanto del 6% la possibilità di trovare lavoro. La questione resta sul tavolo, per i laureati come per tutti gli altri: come scegliere lo stage davvero utile?
Eleonora Voltolina
Per saperne di più su questo argomento, vedi anche:
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- Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?
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