Test di ammissione, sei anni di studio, l'abilitazione: e poi? Precariato o emigrazione. Anche per i laureati in medicina, una delle lauree col più alto tasso di occupazione, il futuro sta diventando un'incognita: terminati gli studi, la maggior parte di laureati partecipa a un concorso per entrare in una delle 54 scuole di specializzazione medica presenti in Italia. Ma i posti sono sempre troppo pochi rispetto al numero di candidati.
Dal 2003 a oggi, infatti, i posti disponibili per l’accesso alla facoltà Medicina - benchè sempre a numero chiuso - sono aumentati; però nello stesso arco di tempo lo Stato ha finanziato sempre meno percorsi di specializzazione. E questo ha avuto un impatto negativo sulle prospettive occupazionali dei laureati; e potrebbe averlo sulla sostenibilità del nostro sistema sanitario nazionale. L’11 marzo scorso il Consiglio universitario nazionale, in cui siedono i rettori di diverse università, ha inviato una lettera al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, per chiedere di aumentare il finanziamento dei contratti di specializzazione (un aumento definito «ineludibile»). Nella stessa lettera il Cun sottolinea che «la condizione di migliaia di studenti e neolaureati di Medicina e chirurgia costituisce un'emergenza» e che «una ulteriore diminuzione del numero di contratti di specializzazione medica potrà determinare ripercussioni negative sulle prospettive del sistema sanitario pubblico».
Un altro appello alle maggiori cariche istituzionali del paese è partito da due gruppi di studenti di Medicina, il “Coordinamento Nazionale Studenti in Medicina per la ri-formazione” e il “Comitato aspiranti specializzandi”, che hanno avviato una raccolta firme, supportata da importanti personalità del mondo scientifico ed universitario, che ha già superato 40 mila sottoscrizioni. Le richieste degli studenti sono principalmente due: finanziare almeno 6mila contratti di specializzazione all’anno, dal 2014 in poi; e creare degli strumenti per la programmazione del fabbisogno di medici e professionisti sanitari.
Il grafico in basso aiuta a capire come si è arrivati a questa situazione. Il divario tra il numero di matricole e i contratti di specializzazione è sempre stato molto alto (parliamo di migliaia di unità), ma dal 2008 in poi è aumentato progressivamente, fino al picco raggiunto nel 2013/2014: per l’anno accademico in corso, infatti, il miur aveva messo a disposizione quasi 10 mila posti, ma le iniquità generate dall’abolizione (inaspettata) del cosiddetto “bonus maturità” hanno spinto il ministero ad ammettere circa 1800 studenti in sovrannumero.
Secondo alcune stime, al concorso per le scuole di specializzazione, in programma a ottobre, si presenteranno 9 mila candidati – 6500 neolaureati e 2500 laureati degli anni precedenti – ma i posti disponibili saranno meno di 4500: 3500 finanziati dallo Stato, mille in meno rispetto all’anno precedente, e 900 dalle regioni. Nella migliore delle ipotesi, quindi, un candidato su due resterà fuori. Dal 2011 al 2014, poi, i contratti di specializzazione finanziati sono stati 13 mila (il dato varierebbe di poco anche se i contratti di quest’anno dovessero aumentare) contro i 17203 richiesti dalle Regioni e dalle province autonome.
Per Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di sanità pubblica dell'università Cattolica Policlinico Gemelli di Roma e presidente dell’ Eupha (European Public Health Association), «il rischio concreto è che in futuro si possa determinare un fenomeno di emigrazione di massa, con gravi conseguenze per il nostro sistema di assistenza». Secondo uno suo studio, presentato lo scorso anno, dal 2009 al 2013 oltre 5mila medici italiani sono emigrati all’estero, in particolar modo Germania, Francia, Svizzera e Gran Bretagna, attratti da migliori opportunità lavorative. «Dalle università italiane escono, ogni anno, circa 8mila medici» dice ancora Ricciardi. «Di questi solo una minima parte riesce ad accedere alle scuole di specializzazione. Ciò vuol dire che ci sono migliaia di medici, ogni anno, che non sanno cosa sarà del loro futuro».
Se si guarda ai dati Almalaurea il rischio non sembra essere tanto quello della disoccupazione, quanto quello del precariato: a un anno dalla laurea dice di essere disoccupato il 15,6% degli intervistati; a tre anni, la percentuale si riduce allo 0,8%; a 5 anni allo 0,7. In teoria, un medico abilitato, ma senza specializzazione, può svolgere attività specialistica – eccenzion fatta per radiologia, anestesia e cardiologia – e partecipare ai concorsi pubblici. Ma nella pratica, la specializzazione è necessaria: sia perché un medico specializzato, con uno studio privato, è considerato più “affidabile” di un medico non specializzato; sia perché chi ha una specializzazione, e quindi dai 4 ai 5 anni di formazione in più rispetto a un medico abilitato, ha anche maggiori possibilità di superare i concorsi. Per i medici abilitati, ma non specializzati, le opportunità di lavoro non mancano: guardie mediche, sostituzioni di medicina generale e di pediatria di base. Ma si tratta – appunto – di lavori precari, ben lontani dal posto fisso che solo un concorso pubblico può offrire.
Oltre al risvolto occupazionale, la riduzione dei contratti di specializzazione ha un effetto negativo anche sul sistema sanitario nazionale, e cioè su ciascun cittadino. Secondo uno studio del sindacato ospedaliero italiano “Anaao Assomed”, riportato dal Censis, tra il 2012 e il 2021 andranno in pensione 61mila medici che saranno rimpiazzati da 50mila colleghi più giovani, di cui il 30% deciderà di lavorare nel privato e altri 5 mila diventeranno medici di famiglia e non andranno in corsia. Naturalmente si tratta di stime, ma a detta di Walter Ricciardi ci sono già dei settori in difficoltà: «anestesiologia, nefrologia, l’otorino-laringoiatria, l’igiene come disciplina di direzione sanitaria hanno già una carenza di medici».
Inoltre secondo Walter Mazzucco, presidente dei Giovani Medici, «limitare il discorso soltanto ai posti messi a disposizione dalle facoltà di medicina o al post lauream rischia di essere riduttivo. Il problema non riguarda soltanto la quantità di medici specializzati, ma anche la tipologia di specializzazione. Una popolazione che invecchia, per esempio, sarà più incline a malattie croniche e quindi avrà maggiore bisogno di alcune tipologie di specializzazione, piuttosto che di altre. L’unica soluzione è avviare una seria programmazione del fabbisogno di medici, legata a una serie di parametri sulla salute della popolazione. Siamo uno dei pochi paesi europei a non programmare le risorse umane della sanità: nel Regno Unito c’è addirittura un’agenzia, finanziata dallo Stato, dedicata soltanto alla pianificazione del fabbisogno. In Italia invece finora si è navigato a vista».
L'immagine quadrata è di Sweet Carolina Photography in modalità creative commons
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