Crisi e mercato del lavoro, Tito Boeri: è il momento che i giovani si facciano sentire e lancino delle proposte

Giuseppe Vespo

Giuseppe Vespo

Scritto il 18 Giu 2009 in Interviste

Sulla crisi economica c’è un assordante silenzio: quello dei giovani. Lo denuncia Tito Boeri [nella foto] nel suo ultimo editoriale, pubblicato l’altroieri sul quotidiano La Repubblica. Nell’articolo  l’economista, docente alla Bocconi, autore insieme a Pietro Garibaldi del saggio Un nuovo contratto per tutti  (Chiarelettere) e fondatore del sito lavoce.info, analizza criticamente il «pullulare di associazioni» dei «giovani di»: da quelli di Confindustria fino agli ultimi nati in seno all’Italia dei Valori, i Giovani di valore. «Riserve indiane», le definisce Boeri, che non lanciano «nessun campanello d’allarme» di fronte alla «redistribuzione silenziosa che si sta operando in questo difficile 2009». Il riferimento è all’aumento della spesa prevista in Italia per le pensioni e alle stime sulla decrescita del Pil. Dati aggravati dalle ultime previsioni Ocse e Confindustria (Pil a -5% e disoccupazione all’8,6% nel 2009), per far fronte ai quali crescerà la spesa pubblica a danno dei precari e di chi è in cerca di lavoro.

Professore, lei ha scritto che i giovani, quelli senza «di», forse torneranno a contare quando si libereranno di tutti questi «giovani di». Ma visto che in Italia con la parola giovani si indica spesso un’entità imprecisa, cominciamo col definire chi sono quelli che non fanno parte delle «riserve indiane».
Mi fa piacere che il mio articolo abbia suscitato una discussione: già questa è una reazione positiva. Perché penso che i giovani possano contare nel dibattito pubblico solo se escono fuori da queste riserve, create per far vedere che si pensa ai loro problemi ma che in realtà sono associazioni per gli amici degli amici. Ad ogni modo per giovani intendo gli studenti, i futuri lavoratori e chi è da poco nel mercato del lavoro. E che soffre, per questo, gli svantaggi di un sistema retributivo e pensionistico diverso da chi lo ha preceduto.
Lei sostiene che oggi a disposizione di queste persone ci sia un’arma in più: internet. Quest’arma basta per uscire dal silenzio? E come andrebbe usata?
Oggi internet è usato per lo più come strumento di dibattito, per esempio attraverso i forum. Credo invece che debba diventare spazio di proposta e di organizzazione collettiva. I giovani potrebbero usare la Rete come mezzo per emergere e diventare classe dirigente. Pensi alle primarie di un partito: si può creare il consenso organizzando una base elettorale attraverso il web, candidandosi alla dirigenza ed entrando dalla porta principale, senza sperare di essere cooptati e senza rischiare di cadere vittime della sindrome del principe Carlo d’Inghilterra.
Cioè?
Visto che ci si ritira sempre più tardi dalla vita attiva, per i giovani il rischio è che si allontani sempre di più il giorno in cui diventeranno classe dirigente.
Torniamo al suo articolo. Ha lamentato il silenzio di fronte all’invito a non licenziare fatto alle azienda dal ministro Sacconi. Ha scritto a questo proposito che il blocco dei licenziamenti in una congiuntura come quella attuale si traduce in due cose: che a perdere il lavoro saranno i lavoratori con contratti a tempo e che non ci saranno più assunzioni. Dovremmo sperare nei licenziamenti? Non diventerebbe una guerra fra poveri?
È chiaro che non auspico questo. Capisco di aver sollevato temi che evidenziano le contraddizioni del nostro mercato del lavoro e del nostro sistema pensionistico. Ma non dimentichiamo che agire solo in una direzione, quella del blocco dei licenziamenti, ci costringerà al blocco delle assunzioni. In questo modo tutte le risorse andranno a quelle imprese che non sono in grado di reggere le difficoltà, innovare, e che lasceranno fuori i giovani, appunto.
Quindi?
Bisogna creare le condizioni affinché si possa competere su basi uguali, valorizzando le risorse di chi – e generalmente sono i giovani – è più qualificato. E’ dimostrato che i lavoratori qualificati creano lavoro anche per chi lo è meno. Non accade mai l’inverso. Per questo dico che se chiudiamo le porte ai più preparati distruggiamo posti di lavoro.
Nel suo editoriale punta anche il dito contro chi non ha protestato per i tagli alla scuola, «l’unica istituzione che toglie ai vecchi per dare ai giovani». E il movimento dell’Onda?
Infatti mi riferivo ai «giovani di». L’Onda è un’esperienza importante: ma dovrebbe fare anche delle proposte, perché è questo il momento. Dalla crisi si esce superando l’immobilismo.
Dalla scuola agli stage. Cosa ne pensa?
Avrebbero senso se fossero solo dei brevi periodi inframmezzati allo studio. Lo stage andrebbe inteso come esperienza da tradurre in tesi e lavoro di ricerca. Oggi, invece, spesso se ne abusa, con le aziende che ne fanno ricorso per risparmiare sul costo del lavoro. Il fatto che poi queste esperienze si traducano in situazioni croniche di instabilità lavorativa è un’altra patologia del nostro mercato del lavoro. Anche per questo ho proposto l’istituzione di un contratto unico per tutti.

Giuseppe Vespo

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