Le immatricolazioni universitarie nell’anno del Covid non solo non sono crollate (+7 per cento), ma hanno anche segnato una nuova tendenza: il ritorno a Sud.
Secondo l’ultima rilevazione del ministero dell’Università, aggiornata al 15 novembre scorso, il Mezzogiorno ha registrato una crescita del 6,6 per cento, con ben 8mila matricole in più rispetto al 2019.
A incidere sulla scelta di “studiare a casa” è stata senza dubbio la situazione di incertezza legata all’evolversi dell’emergenza sanitaria. Questo nonostante la possibilità di frequentare un ateneo del Nord o del Centro e allo stesso tempo rimanere nella propria località d’origine, usufruendo della didattica a distanza.
Altro fattore che ha incoraggiato gli studenti del Sud e delle isole a restare è stata l’adozione, da parte di numerosi atenei, di misure di incentivo alle immatricolazioni, in aggiunta a quella ministeriale dell’innalzamento della no tax area a 20mila euro.
Il fattore economico ha inciso sicuramente molto sulle scelte dei giovani italiani. Uno su cinque dei fuori sede che hanno risposto a un sondaggio di Skuola.net ha dichiarato di aver deciso di rientrare, soprattutto per problemi economici e necessità di risparmiare. E il 45 per cento di essere intenzionato a tornare a casa per restare.
«Abbiamo approvato una misura per 880mila euro» spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesco Priolo, rettore dell’università di Catania, che ha registrato un +17,4 per cento di immatricolazioni «comprensiva di buoni libro per l’acquisto dei manuali, di premi di merito per mezzo milione di euro e di incentivi per la mobilità sostenibile.» Dal 1° ottobre, prima delle ulteriori restrizioni anti Covid-19, era stata infatti introdotta la possibilità per gli studenti di acquistare un abbonamento annuale al trasporto pubblico al costo “simbolico” di 15 euro. «La metà degli studenti non pagherà le tasse quest’anno» aggiunge Priolo «e il nostro è già uno degli atenei d’Italia con la tassazione media più bassa: 600 euro».
In alcuni casi le immatricolazioni sono cresciute anche in assenza di ulteriori misure di incentivo. Come capitato ad esempio all’università di Foggia, che ha registrato un +26,8 per cento. «Negli ultimi sei anni abbiamo avuto un trend di crescita sistemico» commenta il rettore Pierpaolo Limone «ma mai era stato così consistente, con 1.000 immatricolazioni in più rispetto al 2019. Lo attribuiamo alla situazione attuale, ma anche all’ampliamento dell’offerta di corsi e alla sua manutenzione, ad esempio con la cancellazione del numero chiuso per corsi come Biotecnologie e Scienze motorie».
Fra gli altri atenei del Sud che hanno registrato un picco di immatricolazioni, sono da segnalare: L’Orientale di Napoli (+32 per cento), l’università di Messina (+27 per cento) e l’università del Sannio (+21,7 per cento).
Quali i corsi di laurea più richiesti? «Nel nostro ateneo sono cresciute soprattutto le domande di iscrizione a Biotecnologie, Economia, Lettere, Scienze dell'educazione e della formazione e Psicologia», afferma il rettore catanese. «Medicina e professioni sanitarie, Dipartimento di studi umanistici ed Economia le aree preferite», gli fa eco Limone.
Se pur per circostanze negative, le università meridionali hanno oggi l’occasione di intercettare una platea di studenti che probabilmente, avendo la possibilità di spostarsi, non avrebbe mai preso in considerazione l’offerta formativa del proprio territorio.
«Quella di Foggia non rappresenta una provincia particolarmente attrattiva, né per sbocchi occupazionali né per qualità della vita» ammette il rettore pugliese «ma abbiamo oggi l’opportunità di far entrare nelle nostre aule studenti che pregiudizialmente non ci sarebbero mai entrati prima dell’emergenza e persuaderli della qualità degli insegnamenti e della ricerca, convincendoli a restare».
Sempre nell’ottica di supportare gli studenti del Sud (Campania, Molise, Abruzzo, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna), sia laddove scelgano di spostarsi all’interno della propria regione che in Italia e all’estero, è stato stanziato il fondo StudioSì, finanziato dal Fondo sociale europeo attraverso la Banca europea per gli investimenti. Esso prevede prestiti a tasso zero per finanziare le tasse universitarie e il costo della vita. Fino al 25 per cento delle risorse saranno utilizzabili da studenti non residenti che scelgono di studiare in una regione del Mezzogiorno.
Secondo uno studio di Talents Venture sui dati dell’anno accademico 2017-2018, il 32 per cento degli universitari del Meridione studiava in un ateneo diverso da quello di origine. Le università del Sud hanno ora l’opportunità di trasformare l’inversione di tendenza in un fenomeno stabile, ma chiedono di essere supportate per poter offrire un servizio all’altezza degli atenei più quotati del Nord.
«Sicuramente avremo bisogno di un più forte aiuto strutturale per l’edilizia universitaria: stiamo facendo un grande lavoro per rendere le nostre università più moderne. Altra priorità sarà l’investimento sui giovani per entrare nel mondo della ricerca e del lavoro. L’università sta affrontando la sfida più difficile, ma noi stiamo facendo di tutto perché i nostri giovani possano non perdere nemmeno un giorno per coronare i propri sogni» conclude Priolo.
Saranno i prossimi anni a dirci se la tendenza al controesodo universitario, così come quella del cosiddetto “south working”, porterà a un effettivo ritorno nei luoghi d’origine e in particolare a Sud.
Rossella Nocca
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