A leggere le trenta pagine del documento "La svolta buona", il programma presentato da Matteo Renzi l'altroieri, non ci si mette molto tempo. Ciascuna pagina è, come molti hanno già scritto, più simile a una locandina pubblicitaria che non a un documento programmatico: indica un titolo (i copywriter lo chiamerebbero headline), talvolta un sottotitolo che spiega quale azione verrà messa in atto per raggiungere l'obiettivo, e in alcuni casi una data che dà il timing dell'azione.
Ciò non vuol dire che il documento vada sottovalutato. I suoi contenuti, e ancor più le parole che ha detto Renzi nel presentarli, sono molto importanti per capire che direzione prenderà il governo. Le pagine sul lavoro - quelle che stanno più a cuore a chi scrive e a questa testata giornalistica - si trovano in coda al documento, nel capitoletto "Il lavoro svolta"; precisamente da pagina 27 a pagina 31. Per ora voglio concentrarmi su un passaggio piccolissimo dell'ultima di queste pagine, quella che chiude il documento. La pagina si intitola «Le nuove regole del lavoro» e al primo punto annuncia la «semplificazione dell'apprendistato» e sotto, più in piccolo, «contratti a termine più facili». Per presentarla, al minuto 42 della conferenza stampa di presentazione, Renzi ha detto che «c'è una immediata misura che noi abbiamo proposto e approvato con decreto legge, che è la semplificazione rispetto a due strumenti della Fornero che vengono sostanzialmente non dico smontati ma molto semplificati - subito, segnale importantissimo: il contratto a termine può valere al massimo per tre anni ed è applicabile senza causale con il limite del massimo 20% sul totale dei lavoratori, e il tema dell'apprendistato».
La questione del contratto a termine é abbastanza complessa. Innanzitutto bisogna premettere subito che un contratto di questo tipo, che tecnicamente si configura come lavoro subordinato a tempo determinato, è vantaggioso e preferito dai datori di lavoro perché è una delle alternative al contratto a tempo indeterminato rispetto al quale - come è facile intuire - impegna di meno sul medio-lungo periodo. Il contratto a termine cioè ha tra i suoi pregi dal punto di vista "datoriale" quello di non rendere necessario il licenziamento: in caso sopraggiunga la volontà o la necessità di non proseguire la collaborazione, basta non rinnovare il contratto al momento della sua scadenza, evitando la possibilità di lunghi e complessi contenziosi o l'onerosità di buonuscite concordate. Come costi e computo dei diritti e doveri, però, è sostanzialmente identico a quello a tempo indeterminato.
Per questa ragione il contratto a termine è sempre preferibile anche dal punto di vista del lavoratore, in linea di principio, a qualsiasi contratto di tipologia "parasubordinata", cioè tecnicamente “autonoma” - come sono per esempio i contratti a progetto oppure i cococo, cioè le collaborazioni coordinate e continuative, oppure ancora le collaborazioni a partita Iva. Nel caso del contratto di tipologia subordinata infatti al lavoratore viene garantita tutta una serie di diritti preclusi invece a chi é inquadrato come collaboratore.
Innanzitutto la questione salariale: un contratto di tipologia subordinata aggancia la retribuzione del dipendente - seppure temporaneo - ai minimi salariali indicati nel contratto nazionale di categoria a cui l'azienda fa riferimento. Sarà difficile quindi sottopagare il lavoratore, cosa che invece accade molto spesso nel caso delle collaborazioni, i cosiddetti cococo e cocopro, e ancora più spesso nel caso delle finte partite Iva. Altro diritto garantito ai dipendenti con contratto subordinato è la 13esima e, qualora sia presente nel contratto nazionale corrispondente, anche la 14esima: ciò significa da una a due mensilità in più in busta paga ogni anno, percepite anche da chi ha contratti temporanei sotto forma di “ratei”. C'è poi la quota di TFR, il trattamento di fine rapporto, inesistente nel caso di collaboratori autonomi.
Infine, un altro dei vantaggi più rilevanti sta nella miglior prospettiva pensionistica: nel fatto cioé che per il lavoratore subordinato i contributi sono congrui e per massima parte a carico del datore di lavoro - cosa molto diversa da quella che succede ai parasubordinati, che si devono pagare in tutto o in gran parte i contributi di tasca propria.
Dunque l'incentivo dell'utilizzo di contratti di tipologia subordinata, seppur a termine, è certamente da guardare con favore. Resta però una grande perplessità rispetto alle semplificazioni che Renzi ha annunciato di voler apportare alla regolamentazione di questo contratto: più di tutto spaventa l'idea che si possano fare nell'arco di 36 mesi un numero imprecisato di contratti a termine tra lo stesso lavoratore e la stessa azienda.
Tralascio volutamente invece il discorso sull'abolizione dell'obbligo della causale, perché in effetti questa non ha mai scoraggiato le imprese che volevano agire truffaldinamente - riducendosi semplicemente a una modalità un po' ipocrita per fingere di vietare il contratto di lavoro temporaneo ove non ve ne fosse davvero una necessità specifica.
É invece senz'altro un grande problema la reiterabilità senza limiti del contratto a termine. Il vantaggio per un datore con pochi scrupoli di poter assumere una persona per un tempo molto limitato è duplice. In primo luogo gli si permette in questo modo di poter fare contratti brevissimi, anche di durata di poche settimane, sottoponendo il rapporto di lavoro ad una continua verifica (che a lungo andare diventa francamente eccessiva) e a una continua possibilità di essere concluso improvvisamente. Per questo infatti alcuni esperti hanno sintetizzato questa misura parlando - in maniera a mio avviso un po' imprecisa, ma decisamente efficace - di «estensione a 36 mesi del periodo di prova». In secondo luogo, la possibilità di fare molti contratti di lavoro molto corti uno dietro l'altro da parte dello stesso datore allo stesso lavoratore mette quest'ultimo in una condizione di subalternità inaccettabile, continuamente ricattato da quella che Ascanio Celestini definiva «la bomba a orologeria sotto la sedia» cioè la data di scadenza del proprio contratto di lavoro, col terrore che esso non venga rinnovato. È indubbio infatti che il lavoratore, pur temporaneo, che si trova a firmare un contratto di un anno o di due anni abbia una fiducia maggiore e possa fare una programmazione della sua vita più serena rispetto a chi invece sul contratto di lavoro ha un orizzonte molto stretto, fino al limite esagerato di poche settimane. Il Corriere della Sera e altri rappresentavano ieri il paradosso della possibilità di fare 36 contratti di lavoro della durata di un mese allo stesso lavoratore: questa prospettiva appare agghiacciante.
Dunque il mio auspicio è che su questo tema il governo Renzi faccia un surplus di riflessione: perché se è vero che si devono usare tutti gli strumenti possibili e immaginabili per incentivare le imprese a ricominciare ad assumere, è vero anche che bisogna incentivare un buon utilizzo delle assunzioni e limitare il più possibile la precarizzazione selvaggia del mercato del lavoro. Dunque dare la possibilità ai datori di lavoro di poter assumere anche temporaneamente senza doversi giustificare con una causa specifica è secondo me corretto, ma concedere loro l'“onnipotenza” di fare contratti anche brevissimi e reiterati nel tempo é invece una eventualità non solo poco utile ma probabilmente dannosa.
PS. mentre impaginavo questo pezzo ho visto sulla timeline di Facebook molti dei miei contatti condividere un articolo appena pubblicato su La Voce da Tito Boeri, docente di Economia alla Bocconi, intitolato «Per favore, cambiate quel decreto!». Nel breve articolo Boeri sostanzialmente fa ragionamenti analoghi ai miei rispetto alle modifiche della normativa sui contratti temporanei previste nel piano presentato da Matteo Renzi l'altroieri. Mi unisco allora all'appello del professor Boeri: anche secondo me ci deve essere da parte del governo un ripensamento del provvedimento annunciato, affinché non si riveli un boomerang. Rispetto alla riflessione di Boeri non sono però pienamente d'accordo su timore che questa modalità semplificata di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato possa diventare concorrente sleale rispetto all'apprendistato e ai contratti di lavoro somministrato intermediati dalle agenzie interinali. Nel caso dell'apprendistato penso infatti siano molto forti due elementi "a favore" (sempre nell'ottica datoriale media), il fattore anagrafico e quello dell'abbattimento della contribuzione, e un elemento "contro", la componente di formazione. Tre peculiarità che lo differenziano rispetto a un “normale” contratto temporaneo. E comunque il concorrente sleale dell'apprendistato negli ultimi dieci anni é indubitabilmente stato, e continua ad essere, lo stage. Rispetto invece al contratto di lavoro somministrato, tendo a pensare che il vantaggio percepito dalle aziende che utilizzano questo servizio - peraltro piuttosto costoso e di nicchia - non stia tanto nella reiterabilità del contratto settimana dopo settimana o mese dopo mese, ma in altri vantaggi: primo fra tutti il fatto che non è l'azienda in prima persona ad assumere ma l'agenzia per il lavoro - dunque sollevando l'azienda stessa da qualsiasi anche remotissimo rischio di venir chiamata in giudizio dal lavoratore per essere assunto maniera stabile.
Ma questi sono dettagli. Il fulcro del discorso è che sul tema del lavoro temporaneo è bene che il governo Renzi prenda provvedimenti ponderando bene pro e contro ed evitando che, nella rincorsa al rilancio del mercato del lavoro, si finisca per cadere nel tranello già molte volte visto di incentivare i contratti iper-corti e per questa ragione iper-precari.
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