La decisione della Svizzera, sancita l'altroieri attraverso il referendum, rispetto al "tetto agli immigrati" (tecnicamente, l'iniziativa popolare 'Contro l'immigrazione di massa') che nei prossimi tre anni dovrà essere implementata per favorire i cittadini svizzeri nella ricerca di lavoro è a mio avviso sciagurata. Ma come direttore di una testata giornalistica che fin dal nome, "Articolo 36", si focalizza sull'importanza delle retribuzioni e della dignità delle condizioni di lavoro, non posso esimermi da un'analisi di approfondimento.
In generale chi conosce un po' la Confederazione elvetica sa che una cassiera di supermercato guadagna mediamente più di 4mila franchi al mese (3.200 euro). Sa che il servizio di orientamento scolastico è molto ben strutturato, così come l'alternanza scuola-lavoro e l'utilizzo dell'apprendistato per avviare i giovanissimi alle professioni pratiche; e che un ragazzo di 19 anni che ha appena concluso la sua formazione solitamente rifiuta lavori da meno di 2mila franchi (1.600 euro), anche perché anela al raggiungimento dell'indipendenza economica e ad uscire di casa il prima possibile. Le famiglie svizzere sono abituate a potersi mantenere con un solo stipendio; se i genitori lavorano entrambi, salvo casi eccezionali modulano i loro orari di lavoro con part-time variegati (lì è la norma), magari lavorando entrambi al 70 o 80%.
Questa organizzazione permette alla Svizzera di essere quasi un alieno in Europa. Là dove noi annaspiamo nella crisi, questo Paese incastonato nelle Alpi, con una popolazione pari più o meno a quella della Lombardia, vede il suo mercato del lavoro in perfetto equilibrio. Il tasso di disoccupazione è fermo appena sopra il 3%, il che permette di dire che ci sia praticamente piena occupazione. In Italia, per fare un confronto, il tasso di disoccupazione è quadruplo. Una differenza abissale è poi quella della disoccupazione giovanile (quella famosa fascia 15-24 anni): in Svizzera 3,6%, in Italia sopra al 40.
Molti ora stanno criticando la Svizzera per l'esito di questo referendum, accusandola di razzismo nei confronti degli immigrati e dei frontalieri, insomma dei non-svizzeri che lavorano sul suo territorio. Ma è troppo semplice parlare di razzismo. Gli svizzeri non sono - nella maggior parte - razzisti, e hanno invece una società molto più multietnica della nostra, con un tasso di immigrati residenti sul loro territorio pari a oltre il 20%. Per capirci: in Italia siamo al 7,5%, e già la Lega e le altre forze di destra periodicamente farneticano di invasione e di "Italia agli italiani".
La Svizzera non vuole però che sul suo territorio si verifichi un dumping salariale. E siccome il meccanismo si è innescato, ormai da qualche anno, ne ha individuate le cause nei tanti lavoratori - spesso frontalieri, dunque nemmeno tecnicamente "immigrati" - che accettano di lavorare per salari immensamente inferiori rispetto a quelli cui gli oriundi sono abituati.
Troppo facile anche accusare la Svizzera di non essere generosa, di voler mantenere la propria posizione di benessere rimanendo sorda alle richieste di aiuto e di solidarietà dei cittadini dei Paesi limitrofi. Nessuno può imputare a un Paese di essere benestante: poter assicurare ai propri cittadini un buon tenore di vita e condizioni più che dignitose di lavoro e di salario è un merito, non certo un difetto. La Svizzera è benestante, lo è più o meno sempre stata, ha una democrazia molto più evoluta della stragrande maggioranza degli altri Paesi occidentali, organizza le sue scelte politiche e amministrative sempre nell'ottica del medio-lungo periodo, fa leva sulla partecipazione dei suoi cittadini alla vita pubblica. A differenza dei suoi vicini, ha inoltre sempre tenuto perfettamente sotto controllo il suo debito pubblico. È comprensibile che non voglia sacrificare il benessere della sua popolazione sull'altare dell'Unione europea, della quale peraltro non fa parte.
Ora, un sito molto interessante permette di effettuare delle proiezioni rispetto agli stipendi medi degli svizzeri. Un trentenne diplomato svizzero che lavora con compiti di semplice segreteria alle Poste guadagna 4mila franchi (3.200 euro) al mese. Se lo stesso trentenne con lo stesso titolo di studio lavora invece in campo sanitario, con mansioni un po' più complesse (ma non parliamo di medici), a tempo pieno prende mediamente 7mila franchi al mese (5.700 euro). E ancora: una 40enne che faccia la commessa in un negozio di abbigliamento, con una ventina d'anni di anzianità, percepisce uno stipendio mensile medio di 4.800 franchi (oltre 3.900 euro). Un assicuratore della stessa età arriva a 13mila franchi mensili, quasi 11mila euro.
Certo, gli svizzeri si devono pagare di tasca propria l'assicurazione malattia e la pensione integrativa. E certo, il costo medio della vita è un po' più alto. Ma questi stipendi, parliamoci chiaro, nel resto dell'Europa centro-meridionale noi ce li possiamo sognare.
A fronte di questo, infatti, gli svizzeri hanno gli italiani (ma anche i francesi e i tedeschi) alle porte. Con buoni studi e disoccupazione crescente, e che parlano perfettamente quantomeno una delle loro lingue. Persone che hanno voglia di lavorare e per le quali già 1.500 euro al mese sono un ottimo stipendio. Vi sono svizzeri, perlopiù giovani, che sopratutto in Ticino si sentono proporre stipendi mai sentiti prima, al ribasso, e quando rifiutano la risposta dei datori di lavoro è ormai sempre la stessa: "Va bene, tanto ho tanti italiani disposti ad accettare anche meno".
Io sono e rimango contrarissima alla decisione popolare presa l'altroieri, peraltro con uno scarto microscopico. Ma penso che per commentarla si debba conoscerla e comprenderla appieno. Per esempio, qualcuno potrebbe pensare (facendo riferimento sopratutto alla percentuale pressoché bulgara di "sì" in Ticino) che gli svizzeri abbiano votato prevalentemente contro gli stranieri nelle zone ad alta immigrazione, e a favore nelle altre zone. Un grafico dimostra invece che è tutto il contrario. L'analisi del voto si rivela in questo caso palesemente contro-deduttiva: le zone a maggior tasso di immigrazione sono state quelle dove sono stati maggiori i "no" alla proposta del tetto ai lavoratori stranieri. Dunque paradossalmente a votare "contro la concorrenza degli stranieri" sono stati gli svizzeri per ora meno toccati dal problema, che però hanno dimostrato di temerlo molto e di essere stati convinti dalla retorica populista del partito che ha promosso l'iniziativa popolare "anti-immigrati", e cioè l'Udc.
Ha vinto dunque una visione miope, diremmo un po' "leghista", per cui "prima gli svizzeri" diventa un diktat. Certamente nei prossimi mesi le diplomazie della Confederazione e dell'Unione europea dovranno lavorare alacremente per mettere a posto i trattati e renderli compatibili con questa decisione popolare di stampo conservatore e protezionista.
Ma l'Europa non può fare lo struzzo, deve capire fino in fondo quale situazione pessima ha permesso al partito svizzero dell'Udc di proporre, portare avanti e a sorpresa addirittura vincere questo referendum. Deve porsi il problema del lavoro, perché è sul lavoro che si gioca in Europa la partita più importante dei prossimi anni. Lavoro: come uniformare e armonizzare le legislazioni, i livelli retributivi e previdenziali, come rendere Schengen conveniente per chi si muove e cerca lavoro in un Paese che non è il suo senza che ciò si trasformi in una tagliola per quei Paesi dove il lavoro è pagato meglio. Senza che si inneschino, come già accade, situazioni di dumping che sono insostenibili. L'Europa deve rendersi conto che se gli italiani sono disposti a lavorare per 1.500 euro là dove gli svizzeri non accetterebbero per meno del triplo, c'è un problema profondo da risolvere. Che non si può liquidare dicendo che gli svizzeri sono brutti e cattivi e sperando che l'Europa metta in atto rappresaglie di tipo economico e politico per punirli.
Citando e parafrasando il titolo di un vecchio, bellissimo libro di Gian Antonio Stella: adesso gli albanesi siamo di nuovo noi. Sarà bene lavorare su questo, senza preconcetti, per tornare a livelli di occupazione e di retribuzione decenti in tutta Europa.
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