Sono giorni cruciali per quasi un milione di cittadini italiani fuori sede per motivi di studio o di lavoro. Nell’ambito della discussione sulla legge elettorale, rinviata a lunedì, alla Camera sta per essere preso in esame un emendamento che, se approvato, potrebbe permettere agli elettori che vivono lontano da casa di esercitare il voto «a distanza». Il provvedimento - numero 2.0336 - presentato dal deputato di Scelta Civica Pierpaolo Vargiu e cofirmato da dieci deputati del Partito Democratico, prevede l’adozione anche per l’Italia del modello dell’advanced voting, ossia il voto anticipato, come accade già in Danimarca. Gli elettori italiani all’estero potrebbero esprimere la propria preferenza prima dell’election day presso le prefetture di domicilio se si trovano nel nostro paese o presso le ambasciate se all’estero. Voti che sarebbero successivamente scrutinati insieme a tutti gli altri.
L’emendamento, appoggiato dal comitato Io voto fuori sede che dal 2008 sostiene la causa della riforma del voto per chi è lontano dalla sua residenza, ha incassato anche l’appoggio del Movimento Cinque Stelle e di Sel. Le scorse settimane però la corsa alla tanto auspicata approvazione del provvedimento è stata frenata da due ostacoli non di poco conto. Le prima tegola arriva dal Partito Democratico: se in più di un’occasione numerosi deputati Pd si sono dichiarati favorevoli al provvedimento, ora invece sembra regnare l’incertezza. Anche se, a dire il vero, all'interno del Pd c'è chi si è battuto e continua a battersi per i cittadini in mobilità, come il deputato Marco Meloni, già firmatario di una proposta di legge sul tema. Il voto rischia però di essere subordinato alla posizione del gruppo parlamentare, vincolato agli accordi tra partito e Forza Italia sull’Italicum, rischiando di non andare a buon fine.
Ed è proprio al presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e a Silvio Berlusconi che Stefano La Barbera (foto a sinistra), presidente di Io voto fuori sede, si è rivolto con una lettera aperta pubblicata sul sito del comitato, chiedendo ai due leader di lasciare carta bianca sul voto ai deputati dei propri partiti, invitandoli a riflettere sui vantaggi di un provvedimento che «non sposta di una virgola il contenuto degli accordi ma restituisce semplicemente il diritto di voto a un milione di cittadini». Tra questi, tantissimi studenti Erasmus e universitari e lavoratori fuori sede, i giovani a cui il nuovo premier si è spesso rivolto, promettendo sostegno e cambiamento. E che ora rischiano di vedere compromesso un diritto fondamentale come quello al voto per la bocciatura di un provvedimento causata proprio dagli accordi sulla legge elettorale sostenuta da Renzi.
All’appello del comitato Io voto fuori sede non è però mai stata data risposta. E purtroppo i segnali negativi non finiscono qui. Nei giorni scorsi il deputato Pd e sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, in occasione della presentazione dell’emendamento, ha espresso parere negativo, evidenziando il rischio di un maggiore esborso economico per «attrezzare» prefetture e ambasciate rispetto ai costi attualmente sostenuti per le agevolazioni sulle spese ferroviarie, marittime e aeree per lo spostamento dei cittadini nella propria sede elettorale. Affermazione a detta di Stefano La Barbera non veritiera: «solo per i rimborsi elettorali di viaggio si parla di quasi 27 milioni di euro spesi a legislatura,a fronte di una soluzione che potrebbe costarne circa un milione».
Al momento la «storia infinita» della riforma delle modalità di voto per i fuori sede continua a confermarsi un percorso tutt’altro che facile. Partita nel 2008 grazie a una petizione online che ha raccolto più di 13mila firme, la questione è poi sfociata in una serie di proposte di legge, che si sono però sempre concluse in un nulla di fatto. A gennaio dello scorso anno, la protesta in rete dei 25mila studenti Erasmus impossibilitati a recarsi a casa in vista delle elezioni politiche ha riportato alla ribalta il problema, che però dopo pochi mesi è stato di nuovo messo nel dimenticatoio.
Ora la discussione sulla legge elettorale potrebbe essere l’occasione buona per mettere la parola «fine» a una questione che rischia di mettere per l’ennesima volta in discussione un diritto che dovrebbe essere scontato e soprattutto garantito a tutti senza difficoltà.
Chiara Del Priore
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