Il governo Renzi vuole davvero tentare di diminuire la percentuale di disoccupati con un trucco burocratico? In realtà no. Eppure la settimana scorsa due quotidiani, prima il manifesto e poi il Fatto, hanno lanciato l'allarme con articoli dai titoli catastrofistici: ne «La circolare che cancella i disoccupati», sul “quotidiano comunista”, il sottotitolo recita «I disoccupati saranno classificati come inattivi […] In questo modo il governo farà calare il numero di disoccupati e dirà che la ripresa esiste». Ancor più allarmistico il Fatto: «Jobs act, ministero del Lavoro ha cambiato le regole. “E i disoccupati spariranno dalle statistiche”». Tanto che il caso è arrivato addirittura in Parlamento, con una presa di posizione dei deputati 5 Stelle.
Tutto si basa sulle affermazioni di una ricercatrice, Marta Fana, che firma in prima persona l'articolo sul manifesto e che viene citata in quello sul Fatto. La Fana commenta una circolare emessa dal ministero del Lavoro lo scorso 23 dicembre, affermando che «rendendo superflua l’iscrizione ai centri per l’impiego e quindi la ricerca attiva di lavoro, tramite i canali istituzionali, il governo procede a modificare le statistiche stesse del lavoro. Infatti, i soggetti "non occupati" non rientrano tra i disoccupati secondo la definizione dell’Istat». Pertanto, deduce, «se l’effetto scoraggiamento e fuga dai centri per l’impiego prevarrà, dal punto di vista statistico ci sarà un calo del numero dei disoccupati e del relativo tasso, senza che nulla sia realmente migliorato sul mercato del lavoro».
Il giorno dopo il Fatto riprende la notizia: «Una quota di disoccupati rischia di sparire dalle statistiche Istat. E non perché hanno trovato un posto, ma solo grazie a un cambio di regole nei servizi per l’impiego». Nell'articolo Marta Fana, presentata come «dottoranda in Economia a SciencesPo Paris e collaboratrice de il manifesto» nonché come «colei che per prima ha segnalato l’errore del ministero del Lavoro sui numeri relativi ai contratti stabili ad agosto», viene invitata a dettagliare la sua denuncia, e spiega che «il questionario Istat sulla rilevazione delle forze di lavoro dedica un’ampia sezione ai contatti con i centri per l’impiego» e che «i dati dei centri per l’impiego sono usati sia dai sindacati sia dalle Regioni per la definizione e lo sviluppo di politiche attive a livello locale». Ma a sorpresa la Fana nell'intervista dice anche che «quindi, al di là della rilevazione Istat, una distorsione nel numero di disoccupati rende questa attività molto meno efficace».
Come «al di là della rilevazione Istat»? Che senso ha questo inciso, considerando che è giustappunto la rilevazione Istat a fornire al pubblico le informazioni statistiche sui disoccupati in Italia? Purtroppo l'articolo non fornisce approfondimenti in questo senso: dalla percentuale di disoccupati citata nel titolo vira invece verso la critica del Jobs Act, paventando che i disoccupati saranno «dirottati verso le agenzie interinali», col risultato che «soprattutto quelli più vulnerabili saranno sempre più in balìa degli attori privati».
I grillini, con una dichiarazione attribuita al «M5S Camera» e pubblicata sul blog del deputato bergamasco Claudio Cominardi, membro della Commissione lavoro della Camera, tuonano «Ecco svelata un’altra truffa del Jobs act. Non sapendo come abbattere la disoccupazione, il governo preferisce nasconderla» e proseguono accusando Palazzo Chigi di «inquinare le statistiche per nascondere il fallimento delle scelte dell’esecutivo».
La Repubblica degli Stagisti ha chiesto lumi a Francesco Giubileo, ricercatore tra i massimi esperti in Italia del funzionamento dei servizi per l'impiego e di recente entrato nel consiglio di amministrazione di Afol Metropolitana, la struttura che governa i centri per l'impiego del territorio milanese. Giubileo è categorico nel rispondere che tutte queste preoccupazioni non hanno semplicemente fondamento. «Una circolare che si occupa di aspetti amministrativi non può interferire con un'indagine campionaria di tipo statistico».
Giubileo, classe 1980, spiega che le modifiche alle procedure introdotte dalla circolare «non avranno nessun effetto sul calcolo del tasso di disoccupazione: riprendendo le parole di Emilio Reyneri, professore emerito di Sociologia all'università Bicocca di Milano, non posso che evidenziare come la definizione di disoccupazione, adottata da tutti i paesi europei secondo le linee guida di Eurostat, si basi su coloro che dichiarano di aver fatto un’azione di ricerca di lavoro nel corso dell’ultimo mese».
È importante a questo punto specificare che né Giubileo né Reyneri, che è anche co-autore del libro "Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi" uscito nel 2013, sono nemmeno lontanamente definibili come “renziani di ferro”: si tratta di due studiosi che anzi non hanno lesinato negli ultimi mesi critiche ad alcuni aspetti del Jobs Act che ritenevano insufficienti. Non ci troviamo dunque di fronte a una “difesa d'ufficio” dell'operato del governo, ma semplicemente di fronte a due esperti che smentiscono con decisione l'allarme lanciato da un'altra studiosa.
A beneficio dei non addetti ai lavori Giubileo spiega con semplicità che per individuare i disoccupati l'Istat nella sua indagine statistica pone una domanda al suo campione rappresentativo chiedendo “Nelle ultime 4 settimane ha fatto qualcosa per cercare lavoro?”: «Da qui nasce la divisione tra disoccupati e inattivi». Chi risponde di sì viene classificato come disoccupato, chi risponde di no invece finisce nella casella degli inattivi.
Semmai Giubileo condivide con Reyneri e altri la convinzione che «in Italia tale definizione esclude totalmente coloro che vorrebbero lavorare, ma non hanno fatto una recente azione di ricerca: il calcolo reale del tasso di disoccupazione dovrebbe considerare anche coloro che sono immediatamente disponibili al lavoro, pur non cercandolo attivamente. Il che porterebbe il tasso di disoccupazione in Italia al 20%».
Entrano qui in gioco anche le definizioni internazionali e le convenzioni Eurostat che dicono a ciascun Paese come deve conteggiare i suoi disoccupati in modo da poter raffrontare le statistiche nazionali su basi omogenee. Modificare le modalità di “incasellamento” dei disoccupati non è affatto semplice: la Repubblica degli Stagisti si era occupata di questo, tempo fa, denunciando come molti stagisti venissero – e tuttora vengano – ricompresi tra gli occupati pur senza avere un contratto di lavoro.
Ma in conclusione, la circolare del ministero del Lavoro di dicembre cosa c'entra con il tasso di disoccupazione rilevato dall'Istat? Nulla. Anzi, secondo Giubileo anche «la considerazione che i dati sulle dichiarazioni di disponibilità (DID) possano essere utilizzati per attività di “concertazione” o sviluppo di “azioni anti-crisi” tra le parti sociali» è del tutto «errata». Il ricercatore, che ha portato avanti negli ultimi anni numerosi studi sull'incrocio domanda-offerta di lavoro e ha fornito consulenze a varie amministrazioni pubbliche su questo tema, assicura di non aver «mai visto utilizzare questi dati». Questo perché «le DID raccolte dai centri per l'impiego contengono numerose duplicazioni ed errori» e per la presenza, «soprattutto in passato, di molteplici “anomalie” del sistema, per esempio disoccupati che si registravano solo per le cure mediche oppure per particolari adempimenti amministrativi, come accadeva con i precari della scuola».
Dunque, conclude Giubileo, «soprattutto in questi ultimi anni, nella gestione della Cassa integrazione in deroga sono state utilizzate altre fonti amministrative, in particolare alcuni microdati Inps, per individuare i destinatari delle politiche passive».
La circolare insomma non modifica nulla (per la cronaca: si tratta della n° 34 del 23/12/2015 intitolata «Primi chiarimenti e indicazioni operative, relativamente al decreto legislativo n. 150/2015, con particolare riferimento allo stato di disoccupazione, alla condizione di non occupazione e all'applicazione delle norme del Capo II del suddetto decreto legislativo "Principi generali e comuni in materia di politiche attive del lavoro" al collocamento dei disabili di cui alla legge n. 68/1999»), e sopratutto non incide sulle domande del questionario Istat attraverso cui vengono rilevati i dati sulla forza lavoro e di conseguenza stilate le statistiche con i tassi di occupazione, disoccupazione e inattività, rendendo di fatto infondato l'allarme lanciato la settimana scorsa.
«La circolare, seppur complessa, è assolutamente condivisibile» conclude Giubileo: «Tuttavia è bene evidenziare, come del resto in merito a tutta la riforma del mercato del lavoro, che sarà necessario del tempo per un accurata e dettagliata valutazione. Meglio dunque evitare inutili allarmismi e analisi preliminari sulla presunta “efficacia” o meno di uno strumento che è entrato a regime da pochissimo tempo».
Eleonora Voltolina
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