Una «tachipirina» che ha riportato in Italia 7mila cervelli in fuga. Ma che non può bastare a riequilibrare il brain drain, ovvero il fenomeno delle menti italiane fuggite all'estero, con in tasca una o più lauree e in testa conoscenze e competenze per cui gli altri Stati, sentitamente, ringraziano.
Questa è la legge Controesodo per Beppe Severgnini, firma del Corriere della Sera che nella legge ci ha creduto fin dall'inizio. Ma non è un giudizio pessimista: «É già stata un successo. Ha sgombrato il cammino. Ora c'è bisogno di un passo in più». Lo dice nel seminario "Circolazione dei talenti", a Bruxelles. Luogo e titolo significativi.
Alessia Mosca, eurodeputata democratica, ha voluto rilanciare dal Parlamento europeo il dibattito, insieme a Guglielmo Vaccaro, deputato Pd: da loro nel 2008, quando erano entrambi parlamentari italiani, era partita la proposta di legge. Dopo il varo nel 2010 e il rinnovo nel 2013, la Controesodo ha strappato qualche mese fa una seconda estensione, e non senza fatica, dentro al decreto Milleproroghe. Due anni e mezzo ancora, fino alla fine del 2017: tanto è il tempo a disposizione degli under 40 che hanno studiato o lavorato all'estero per almeno due anni per beneficiare di uno scudo fiscale (tasse sul 20% dello stipendio o del reddito per le donne e 30% per gli uomini) se decidono di rientrare.
«Da qui passa unica possibilità dell'Italia di riprendersi. Nell'ultimo decennio sono 150mila i laureati under 40 che se ne sono andati. L'Italia non potrà modernizzarsi senza di loro»: il pensiero di Vaccaro è "tranchant". Per questo lui avrebbe voluto un'estensione per almeno altri cinque anni. La proroga è «importante, ma non sufficiente», aggiunge. «Il nostro sguardo era teso alla mobilità nel suo complesso più che al rientro. Ma è stata realizzata solo la legge sul Controesodo». Tanto che le altre proposte per agevolare gli investimenti degli italiani dall'estero e per attrarre talenti stranieri in Italia, non sono passate.
Lo sguardo, insomma, andrebbe allargato ad una prospettiva più ampia. «Ad una politica per il bilanciamento del saldo migratorio dei talenti, per favorire la mobilità giovanile e gli investimenti da parte di chi è andato via», sottolinea il deputato. Una politica dove le parole chiave siano circolazione, mobilità, restituzione. E Europa. La legge sul Controesodo dovrebbe essere il tassello di un puzzle molto più grande. Se non altro perché i numeri, in sé, raccontano - e nemmeno in modo troppo preciso - un fenomeno molto più massiccio..
«L'Anagrafe degli italiani residenti all'estero ha passato da poco i 5 milioni di iscritti» dice Matteo Lazzarini, segretario generale della Camera di commercio belgo-italiana, sfornando gli ultimi aggiornamenti presi dal consolato. Cifre ufficiali ma parziali: perché l'iscrizione per chi risiede all'estero da più di un anno è obbligatoria, ma non c'è nessuna sanzione per chi non lo fa. E così, tanto per dire, in Inghilterra l'anno scorso si sono registrati all'Aire in 14mila. Ma 51mila italiani, quasi quattro volte tanto, hanno chiesto l'iscrizione all'assistenza sanitaria inglese.
Numeri certi e ufficiali su quanti siano davvero gli italiani all'estero non ce ne sono. Però «secondo l'Aire, le partenze nel 2014 hanno sforato quota 100mila, oltre 14mila solo verso la Germania» snocciola ancora Lazzarini, riferendosi ai 101.297 connazionali emigrati, soprattutto dalle Regioni del Centro-Nord Italia (la Lombardia da sola registra un quinto degli espatri, con oltre 18.400 partenze). L'anno prima erano stati 94mila. Nel 2010 "appena" 60.500. Se non è un esodo questo…
La soluzione? «I talenti sono come il sangue, bisogna farli circolare, agevolarli», suggerisce Severgnini. Nel concreto: lavorare, ad esempio, ad un mercato del lavoro europeo. Un mercato unico, dove sia non solo possibile giocarsi ad armi pari la partita per un posto di lavoro, che sia o meno ad alta qualificazione professionale.
Il futuro è una cornice comune armonizzata anche a livello normativo e burocratico, per consentire una mobilità veramente efficace. «E il momento per parlarne è questo, perché il pacchetto sulla mobilità del lavoro è allo studio del commissario Thyssen, in vista di dicembre», puntualizza Ilaria Maselli, ricercatrice, che con i colleghi del think tank europeo Ceps sta lavorando anche ad una proposta di schema europeo di disoccupazione. La mobilità però è «ancora troppo bassa, dal punto di vista di Bruxelles, e non è aumentata in modo sostanziale con la crisi», rimarca la ricercatrice mettendo in luce un flusso annuo di spostamenti pari a 1 milione e mezzo di persone. Lo 0,3% della popolazione Ue.
La sfida quindi pare essere italiana ed europea allo stesso tempo. Questione di equilibri: il nocciolo è come creare un sistema efficace per evitare il brain drain, un sistema che consenta a lavoratori e talenti di partire e di tornare, anche di ripartire, o di contribuire comunque allo sviluppo del proprio Paese. «Sono convintissima che ritornare non sia l'unica strada per dare aiuto all'Italia. Essere fuori, e con convinzione, conta moltissimo, forse anche di più. L'importante è capire come rendere effettiva la restituzione», riflette Alessia Mosca. «Un modo concreto è agevolare il flusso di uscita e di ingresso, agendo sulle semplificazioni sociali e burocratiche. Questo è definire cos'è l'Europa. Questo è sentirsi europei».
Lo "scivolo" fiscale della legge Controesodo è qualcosa, ma non abbastanza. «Degli incentivi fiscali non sono molto entusiasta. La decisione di rientrare dovrebbe essere guidata da altri motivi. Come, ad esempio, avere a disposizione dei centri di eccellenza», riflette ancora Ilaria Maselli. Come dire: il terreno fertile dovrebbe essere la qualità e la meritocrazia di un sistema Paese.
Vaccaro però ci crede. «I cervelli di rientro sono come le cellule staminali, capaci di rigenerare il tessuto, cioè il Paese, senza aggredirlo. Se i 7mila rientrati in questi anni diventeranno 70mila, l'Italia cambierà. Mollare è impensabile», chiude. Consapevole però che la legge sul Controesodo resta «un risultato portato a casa, non una politica completa. La questione resta quella di una mobilità di qualità». Magari dentro una cornice pienamente europea, per risposte strutturali che vadano oltre i benefici di una "tachipirina".
Maura Bertanzon
@maura07
(la foto in alto è presa da Flickr)
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