Il caso degli “scontrinisti” che lavorano quasi gratis in musei e biblioteche: due anni dopo non è cambiato nulla

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 07 Lug 2019 in Notizie

Beni culturali diritto del lavoro sfruttamento sottoinquadramento Volontariato

Era maggio del 2017 quando scoppiò il caso “scontrinisti”. Ventidue pseudo volontari impiegati a tutti gli effetti nella Biblioteca nazionale di Roma, dopo anni di servizio senza contratto né stipendio, rimborsati a fronte di scontrini racimolati un po' ovunque, decisero che la misura era colma. Ma quella protesta non portò a nulla: i volontari furono mandati a casa, e mai reintegrati. Ci fu anche un'ispezione avviata dal ministero dei Beni culturali, e gli atti finirono in procura. L'esito però, incredibilmente, non si conosce: «Sono passati due anni, era un altro governo, difficile ricostruire la vicenda», si difende debolmente l'ufficio stampa chiamato in causa per dare alla Repubblica degli Stagisti un aggiornamento sull'accaduto.

Si scoprì in quel frangente che erano centinaia, forse migliaia gli “scontrinisti” in tutta Italia, sparsi tra musei, biblioteche e altri spazi di arte e cultura. Che fine hanno fatto? Qualcosa è stato fatto per fermare quegli abusi e ribadire i principi fondamentali del diritto del lavoro?


Il comparto dei Beni culturali in Italia, paese in cui la cultura secondo i dati muove 250 miliardi di euro ogni anno, invece di reclutare professionisti del settore e pagarli a dovere ha continuato a attingere a piene mani dal terzo settore (nel solo 2015 sarebbero 800mila i volontari utilizzati).


Il fulcro principale del problema, però, è che ben vengano i volontari – se sono davvero volontari. Se vogliono prestare la loro opera per beneficienza, per volontariato appunto: per regalare un po' del proprio tempo a una attività che ha bisogno di supporto. Non va bene, invece, quando le persone coinvolte vorrebbero in realtà lavorare: hanno cioè il bisogno e il desiderio di svolgere una attività lavorativa, e da essa trarre di che mantenersi – uno stipendio, i contributi previdenziali.

Se il concetto di volontariato viene distorto, e si reclutano aspiranti lavoratori inventandosi anche un meccanismo di “retribuzione-non-retribuzione” come quello del rimborso delle spese a fronte di scontrini presentati, allora c'è qualcosa che chiaramente non va. Perché si tratta di una gigantesca ipocrisia per poter disporre di lavoratori inquadrandoli fantasiosamente come volontari. Senza bisogno di specificare che, per giunta, si viene a creare una situazione di “dumping”: ovviamente, potendo disporre di personale a costo zero o quasi, queste strutture sono disincentivate dal fare vere assunzioni e pagare regolari stipendi a regolari dipendenti.

L'ultimo capitolo risale a qualche settimana fa. Per la mostra 'Eva vs Eva. La duplice valenza del femminile nell'immaginario occidentale', aperta a Tivoli a Villa d’Este e al Santuario di Ercole Vincitore dal 10 maggio scorso, a prestare servizio saranno ancora dei 'volontari'. Al bando uscito a fine aprile, che così recitava: «Avviso pubblico riservato ad enti del terzo settore per supporto all'accoglienza e attività informativa al visitatori», aveva risposto solo Avaca, una associazione presieduta da Gaetano Rastelli, [nella foto sotto], che era stato anche implicato nella precedente vicenda 'scontrinisti'. A denunciare l'accaduto è la FP Cgil del Lazio: «Per la specificità dei siti, patrimonio Unesco, la vigilanza e la tutela richiedono personale specializzato e formato» scrivono sul sito. «All'emergenza di personale e all'ondata di pensionamenti non si può far fronte, ancora una volta, ricorrendo allo sfruttamento del volontariato utilizzato a tutti gli effetti come lavoro subordinato».

Ma Rastelli al telefono con la Repubblica degli Stagisti si giustifica: «È tutto pienamente legale, è una guerra che hanno innescato contro di me perché faccio parte di un'altra sigla sindacale». Sulla vicenda Villa d'Este conferma: «Mi sono presentato solo io al bando, e ho vinto». La giustificazione di Rastelli è che tutto si svolga nel perimetro della legge, come effettivamente è. La prova è all'articolo 17 del decreto 117 del 2017, dove si legge che gli enti del terzo settore, e Avaca lo è, «possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività». E poi, a detta di Rastelli, ci sarebbero «ben tre sentenze del giudice del lavoro» a dargli ragione.

E ancora, il passaggio fondamentale su cui si basa tutto il sistema: «Al volontario possono essere rimborsate dall'ente tramite il quale svolge l'attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate».


Chi si presenta per queste attività può ricevere quindi una ricompensa economica –
in realtà al volontario andrebbero rimborsate le spese sostenute, mentre gli scontrinisti presentano spesso scontrini non loro e per giunta il loro compenso è fisso, sempre uguale ogni mese; si tratta insomma di un escamotage, ma sembra che tutti su questo punto preferiscano sorvolare – e tale ricompensa economica, seppur modesta, a qualcuno fa comodo. È comunque meglio di niente, insomma? «A questi ragazzi vanno dei rimborsi a seconda delle presenze» spiega Rastelli. Per venti giorni si mettono insieme magari 4-500 euro». Che poi non solo di ragazzi non si tratta, ammette, «ma anche di quarantenni», oltre a «diplomati e laureati che aiutiamo a non starsene a casa con le mani in mano». Avaca e associazioni simili farebbero insomma del bene a suo dire: «Aiutiamo i giovani senza lavoro, e la Cgil mi attacca perché vorrebbe mettere dei pensionati al posto dei giovani a fare i volontari».

Non dello stesso parere il comitato 'Mi riconosci? Sono un professionista dei Beni culturali', collettivo che difende i diritti del comparto e che ha di recente lanciato un questionario per mappare il settore. «Sono due le categorie di chi accetta di andare a fare il volontario, spiega alla RdS la portavoce Daniela Pietrangelo: «Da una parte c'è del personale qualificato che pur di fare qualcosa e non restare disoccupato lo fa per arricchire il curriculum e avere un'esperienza in più». Che poi è quello che succede anche con i volontari del Servizio civile, ragiona Pietrangelo. E oggi, rivela, «sono proprio loro ad aver preso il posto degli scontrinisti alla Biblioteca nazionale di Roma». Poi ci sono «pensionati benestanti» li definisce lei, «gente non qualificata che può permettersi di passare ore e ore svolgendo un'attività senza retribuzione».

A rimetterci è chi vorrebbe fare della cultura una professione. «Dopo una laurea in Beni Culturali, e dopo aver cambiato quattro cooperative di gestione musei, essere pagata pochissimo e con ritardi sovrumani, mi sono stancata e ho dovuto mettere la laurea in un cassetto» si sfoga
Yle Sart in un commento sulla pagina Facebook del collettivo. E ancora, scrive Giuseppina Licordari: «È una vergogna perché è lo Stato a legalizzare il lavoro sottopagato. Io sono una vecchia archeologa collaboratrice del Mibact, che dal 1983 al 1998 ha lavorato per due lire. Non è cambiato nulla».

«Ci sono i bandi» replica Rastelli, «partecipassero». Peccato però che chi accetta di lavorare gratis o per pochi spicci come pseudo volontario ottiene per di più un titolo preferenziale rispetto a chi non lo fa e che resta doppiamente beffato perché rischia di vedersi sorpassato in graduatoria. Ne è convinto un altro utente, Simone Fenzi, che commenta: «Chi si è laureato di recente e ha fatto tirocini vari o il Servizio civile non ha problemi. Io ho fatto varie campagne di scavo quando facevo l'università, dove curavamo tutto, dallo scavo alla documentazione, ma non ho niente per dimostrarlo».

Il comitato 'Mi riconosci?' ha anche lanciato una proposta di legge per tentare di limitare l'uso del volontariato nella cultura circoscrivendolo a mansioni che non riguardino «la conservazione, la promozione, la valorizzazione, la catalogazione, lo studio e l’inventariazione». Nel frattempo però i bandi di questo tipo sono diventati la norma, e basta scorrere la pagina Facebook del comitato per farsene un'idea. Uno dei più clamorosi quello per bibliotecari alla Biblioteca Angelica a Roma. Le mansioni, di archiviazione e digitalizzazione, dovevano anche qui essere affidate a volontari ingaggiati da enti del terzo settore e rimborsati 25 euro al giorno. Del resto, si legge nello stesso bando, «c'è carenza di impiegati». Perciò si recluta personale volontario. Da qualche giorno il bando risulta revocato, segno forse che le proteste a qualcosa sono servite. 


Ilaria Mariotti 

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