Case editrici, ci sono anche quelle che chiedono agli autori di pagare per pubblicare

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 01 Feb 2014 in Articolo 36

Il sogno di tutti gli aspiranti scrittori è vedere pubblicato il proprio libro, magari sullo scaffale di una libreria in mezzo ai propri autori preferiti. La filiera dell’editoria, però, è molto complessa e per essere pubblicati, tanto dalle case editrici più importanti tanto da quelle più piccole, bisogna riuscire a far arrivare il testo a un editore che legge il libro, lo esamina, lo valuta, lo corregge e se lo ritiene interessante lo pubblica, dopo aver firmato un contratto che prevede una percentuale delle vendite all’autore.

Ma c’è una scorciatoia: pagare per vedere il proprio volume pubblicato. Un escamotage che a molti sembra essere l’unica soluzione e che trova una spiegazione nei numeri del mercato editoriale fotografati dall’inchiesta EditoriaInvisibile dell’istituto ricerche economiche sociali dell’Emilia Romagna, pubblicato nell’aprile 2013, e dal Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2013 dell’Associazione italiana editori. Ricerche che mostrano una crescita, ben oltre 5mila, di case editrici in Italia di cui la stragrande maggioranza con non più di cinquanta nuovi titoli all'anno.

Rientrare in questi pochi titoli è difficile, così per riuscire a farsi pubblicare, in tanti cadono nella trappola degli editori a pagamento, cioè di quelli che prima di stampare i libri chiedono dei soldi in anticipo agli aspiranti scrittori. Nonostante la legge 633 del 1941, più nota come legge sul diritto d’autore, abbia un articolo, il 118, in cui si definisce il contratto di edizione come quello in cui: «L'autore concede ad un editore l'esercizio del diritto di pubblicare per le stampe, per conto e a spese dell'editore stesso, l'opera dell'ingegno». Un testo che gli aspiranti scrittori dovrebbero tenere a mente perché in qualche modo tutela proprio la loro opera e il loro lavoro.

Il tema è ritornato alla ribalta a inizio dicembre 2013 durante la fiera Più Libri Più Liberi, quando il direttore Fabio Del Giudice ha vantato i risultati raggiunti dall’evento che in molti, invece, hanno criticato perché comprendeva anche molte case editrici che si fanno pagare dagli scrittori. Una delle critiche più aspre è arrivata da Carolina Cutolo che dal blog Scrittori in causa, organismo indipendente di confronto e assistenza legale sui diritti degli autori, ha commentato che «per contrastare finalmente l’editoria a pagamento bisognerebbe cominciare ad escludere dalle fiere del libro tutti gli editori che chiedono contributi agli autori». Dimostrando con calcoli precisi che la perdita reale per le fiere in questione non sarebbe così grave in confronto alla spesa complessiva di organizzazione. E soprattutto non passerebbe il messaggio, che invece in questo modo sembra quasi leggersi tra le righe, che anche i grandi editori non ritengono sbagliata la pubblicazione a carico dell’autore. La proposta della Cutolo non è, però, condivisa da Ernesto Ferrero, direttore editoriale del Salone internazionale del libro di Torino, che ad Articolo36 si lascia andare, in una lunga intervista, a una dichiarazione esplosiva e che sicuramente farà discutere gli addetti ai lavori: «C’è chi si approfitta del desiderio di questi autori di essere pubblicati, ma fa parte della libera contrattazione e delle libere scelte umane. A un autore consiglierei molta prudenza e attenzione, ma non vedo perché queste case editrici debbano essere eliminate».

Ma chi sono e quanti questi editori a pagamento?
Un censimento non esiste, ma gli addetti ai lavori hanno provato in più occasioni a fare luce su questo tema. Prima fra tutti è stata Miriam Bendia con Editori a perdere in cui raccontava la richiesta avuta da una casa editrice di pagare 11 milioni di lire dell’epoca per vedersi pubblicato il volume. Da allora molti addetti ai lavori hanno continuato a raccontare sempre la stessa storia: l’ha fatto anche Loredana Lipperini sul suo celebre blog.

Eppure cercando in rete
si trovano offerte agli scrittori del domani che lasciano perplessi gli attenti lettori. Ed esistono anche siti internet che elencano tutti i concorsi letterari a cui gli aspiranti romanzieri possono inviare i propri manoscritti con versamenti dai 10 ai 40 euro per avere, in caso di vittoria, attestati, targhe e la tanto agognata “notorietà”. Quella che una volta arrivava dopo anni di fatica, soprattutto grazie al duro lavoro che facevano i talent scout all’interno delle case editrici: gli editor. Il loro compito è, o forse sarebbe meglio dire era dato che si tratta di una razza in via di estinzione, quello di fiutare il talento dietro ai manoscritti inviati e investire su quegli autori sconosciuti prendendosi il rischio, e in seguito il merito, di lanciarli. Un percorso ridotto da alcune case editrici e tagliato del tutto da altre perché non si può più investire tanto in pochi scrittori e magari non vendere. Bisogna puntare alla massa per conquistare più quote di mercato e si finisce per pubblicare qualsiasi cosa – come alcuni librai denunciano – per vedere solo dopo, con le vendite, come va a finire. «Che si produca troppo, questo mi pare evidente» ha dichiarato ancora Ferrero nell'intervista ad Articolo36, che però sostiene che gli editor esistano ancora e lavorino bene: «Mi sembra che continuino a cercare e investire molto sui giovani ed esordienti, che oggi mi sembra la categoria seguita con più attenzione».

Ma se il direttore editoriale del Salone internazionale del libro di Torino non crede che le case editrici a pagamento vadano eliminate perché «vanno incontro a chi non riesce a pubblicare con gli editori di primo livello», ben diversa è la posizione del presidente dell’associazione italiana editori, Marco Polillo, che in più occasioni ha dichiarato di essere contrario alle case editrici a pagamento definendo «stampatori» gli editori che si comportano in questo modo. Niente, però, è stato fatto fino ad ora per controllare questa situazione. Pochissime sono, infatti, le fiere che hanno eliminato l’editoria a pagamento dai propri stand: lo ha fatto ad esempio il Flep, Festival delle letterature popolari, diretto e organizzato da Terranullius  un portale che pubblica i volumi in copyleft e che ha un’idea ben chiara degli editori a pagamento. Escludono questo genere di editoria anche le fiere Codice a Sbarre e Liberi sulla Carta, una goccia però nel mare magnum dei tanti altri eventi che invece non vogliono rinunciare a questi falsi editori.

Recentemente, poi, sono arrivati segnali per nulla incoraggianti dalle grandi case editrici e che sono rimbalzati da una testata
all’altra: se gli agenti letterari confermano di ridurre sempre di più gli anticipi sulla stampa dei libri, Mario Baudino su La Stampa ha pubblicamente rivelato che, come anche molte altre case editrici già fanno sopratutto con gli autori esordienti o meno noti, la Mondadori ha moltiplicato i contratti ad anticipo zero. Un genere di contratto che Ferrero nell'intervista ad Articolo36 definisce «nullo», spiegando che «un contratto che non prevede un corrispettivo in danaro anche minimo, secondo me può essere impugnato. Vale la stessa regola dell'opzione sul secondo libro: se l'editore vuole averla me la deve pagare, se non lo fa non vale niente». Con questo tipo di contratto le case editrici – grandi o piccole non ha molta importanza – condividono il rischio di pubblicare il testo e quindi, nero su bianco, garantiscono di pagare lo scrittore solo quando, e se, il libro venderà. Normalmente, invece, una casa editrice nel momento in cui firma un contratto con l’autore del libro versa un anticipo sulle vendite presunte, quindi i diritti, dell’opera. Una somma che resterà allo scrittore anche in caso di un basso volume di vendita. Una cifra che è ben giustificata perché un libro non si scrive dall’oggi al domani ma è frutto di mesi e a volte di anni di lavoro: lunghi periodi che vanno adeguatamente ripagati proprio con quell’anticipo che oggi è sempre più difficile avere. Senza contare che si toglie ogni possibilità per gli scrittori esordienti di avere prospettive reali di provare a vivere del proprio lavoro.

Visto che in Italia ci sono tanti editori e scrittori, ma pochi lettori - se si considera che solo un cittadino su due dichiara di leggere almeno un libro all’anno - a uno scrittore che voglia pubblicare il suo libro si può consigliare solo di studiare bene la casa editrice a cui spedire il proprio volume, di non farsi abbindolare dalle promesse di pubblicazione facili e di ricordarsi che il lavoro va sempre pagato anche se si è degli esordienti. Perché il mercato degli editori a pagamento entrerà in crisi solo il giorno in cui gli scrittori capiranno che essere pubblicati a tutti i costi non è necessariamente sinonimo di vendita e di successo.

 


 

Foto quadrata: di FranArtPhotography [in modalità creative commons]

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