Molte critiche si possono avanzare al governo Renzi, ma non che sul Jobs Act stia tirandola per le lunghe - quantomeno rispetto ai tempi medi dei provvedimenti normativi italiani. La bozza della nuova regolamentazione del lavoro autonomo, uno degli ultimi tasselli mancanti, è pronta, e la prospettiva è che possa venire approvata entro metà anno. La Repubblica degli Stagisti ha potuto visionare in anteprima il testo, che ricalca in molti punti le istanze e rivendicazioni portate avanti da gruppi organizzati di lavoratori autonomi, dall'Acta al collettivo Alta Partecipazione. Ecco i pro e i contro che abbiamo rilevato.
Contro - non c'è nessun intervento a tutela dei compensi. Nessun "salario minimo", in nessuna formulazione, nemmeno sperimentale. Certo, è vero che non è una misura semplice da elaborare, perché il lavoro autonomo ha mille facce e mille livelli di specializzazione; ma certamente il più grande buco di questo testo è proprio quello di non affrontare il grave problema degli autonomi sottopagati.
Pro - non sono esclusi gli iscritti agli ordini professionali. Finora la maggior parte degli interventi sul lavoro autonomo atti a disincentivare gli abusi ha avuto un limite incomprensibile e ingiusto, escludendo i professionisti. Bastava essere iscritti a un ordine professionale per rimanere fuori dalle tutele previste, per esempio, dalla legge Fornero rispetto alle limitazioni per i contratti a progetto. Il Jobs Act del lavoro autonomo prevede all'articolo 1 invece un campo di applicazione sull'universo pressoché intero dei «rapporti di lavoro autonomo», escludendo - come del resto è logico - solamente «i piccoli imprenditori artigiani e commercianti iscritti alla Camera del commercio». Inevitabilmente, però, alcune delle disposizioni non potranno riguardare gli iscritti a ordini professionali: si tratta di quelle che hanno a che fare con la previdenza, perché ciascun Ordine ha una sua cassa previdenziale che prevede regole specifiche relative anche alla malattia e alla maternità.
Pro - tutela della maternità / paternità. Il dualismo del mercato del lavoro italiano negli ultimi vent'anni ha comportato per le donne un vero e proprio apartheid: quelle con contratto di lavoro subordinato avevano diritto a tutta una serie di garanzie in caso di maternità, che invece per le lavoratrici precarie e ancor di più per quelle autonome erano fantascienza. Gli ultimi interventi legislativi stanno cercando di sanare questa ingiustizia, allargando progressivamente le tutele. In questo senso, il Jobs Act prevede all'articolo 8 una modifica all'articolo 66 del decreto 151/2001, sancendo che l'indennità «viene erogata, indipendentemente dalla effettiva astensione dall’attività, dall'Inps a seguito di apposita domanda in carta libera, corredata da un certificato medico rilasciato dall'azienda sanitaria locale competente per territorio». Evitando dunque i tristi sotterfugi cui molte autonome hanno finora dovuto fare ricorso, fatturando successivamente i lavori svolti nei mesi appena successivi al parto per non incorrere in penalizzazioni. Inoltre, il congedo parentale viene esteso «alle lavoratrici o ai lavoratori autonomi» che siano diventati genitori «di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2016»: a loro il Jobs Sct garantisce il «relativo trattamento economico e il trattamento previdenziale» per «periodo di 6 mesi entro i primi tre anni di vita del bambino».
Pro - tutela in caso di malattia. Che succede al lavoratore autonomo se partorisce o se, circostanza ben meno felice, si infortuna o si ammala di una malattia grave? Che se la deve cavare da solo. Finora infatti non erano previste tutele; anche perché il rapporto tra un committente e un lavoratore autonomo è particolare, e non si può negare che, qualora quest'ultimo sia impossibilitato ad assicurare la prestazione, il committente possa trovarsi nella necessità di far svolgere quel lavoro da qualcun altro. E inevitabilmente i guadagni di un lavoratore autonomo in questi periodi si riducono moltissimo, perché chi non lavora non fattura e chi non fattura non guadagna. Proprio in periodi in cui spesso le spese aumentano, come per esempio se ci si deve curare. Ora il Jobs Act prova a introdurre qualche elemento di garanzia, prevedendo che all'articolo 10 che «in caso di malattia di gravità tale da impedire lo svolgimento della attività professionale per una durata superiore ai 60 giorni, il versamento degli oneri previdenziali è sospeso per l’intera durata del periodo di malattia fino ad un massimo di due anni». Attenzione però: si tratta di una sospensione, e una volta tornato in salute il lavoratore autonomo dovrà pagare gli arretrati. Una volta cessata la malattia «il lavoratore autonomo è tenuto ad effettuare il pagamento del debito previdenziale maturato durante il periodo di sospensione», con tempistiche diluite e cioè «in rate mensili nell’arco di un periodo pari a tre volte quello di sospensione». Allo studio del governo c'è poi ancora un dettaglio non da poco: se prevedere che la sospensione riguardi, oltre agli oneri previdenziali, anche quelli fiscali, oppure no.
Pro con punto di domanda - tutela rinforzata in caso di tumori. Il Jobs Act attribuisce ai «trattamenti terapeutici delle malattie oncologiche» l'equiparazione alla «degenza ospedaliera», andando a ritoccare un decreto del ministero del Lavoro del 2001 che descrive i «criteri per la corresponsione dell’indennità di malattia in caso di degenza ospedaliera agli iscritti alla gestione separata». Ma è pur vero che vi sono altre malattie altrettanto gravi dei tumori, che prevedono trattamenti terapeutici invasivi che potrebbero - dovrebbero - essere anch'essi equiparati alla degenza.
Pro - viene introdotto un bilanciamento che riequilibra i rapporti di forza tra le parti. Finora il libero professionista che offre la sua prestazione sul mercato, a meno di non partire da una (rara) posizione di grande forza (nome famoso, competenze specifiche introvabili sul mercato, folta rete di conoscenze…), parte da una posizione di svantaggio. Nella maggior parte dei casi infatti i termini di prestazione lavorativa, le tempistiche e addirittura i compensi sono imposti dal committente, che si fa forte della possibilità di trovare altrove qualcun altro più disponibile, annullando così la genuinità del rapporto tra un professionista e il suo committente. A questo proposito il Jobs Act delinea all'articolo 3 un quadro delle «clausole abusive», definendole appunto come quelle «clausole che, all’interno di un contratto cha abbia ad oggetto una prestazione di lavoro autonomo, realizzino un eccessivo squilibrio contrattuale tra le parti in favore del committente». L'elenco prevede quattro fattispecie: le clausole che «riservino al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto», quelle che «attribuiscano al committente la facoltà di recedere dal contratto senza congruo preavviso», la pattuizione di «termini di pagamento superiori ai 60 giorni» e infine «il rifiuto del committente di stipulare in forma scritta gli elementi essenziali del contratto». Resta tutta da verificare, però, la reale possibilità che queste regole scoraggino i committenti a priori dalla tentazione di abusare della propria posizione di forza; sembrano cioè disposizioni da far applicare ai giudici, in caso di contenziosi legali, più che condizioni da rispettare a priori. Utili, dunque, ma solo per quella microscopica casistica di casi che arrivano in Tribunale.
Pro - le spese diventano deducibili. Non si finisce mai di imparare: per essere sempre aggiornato un professionista ha bisogno di dedicare tempo e denaro per la formazione. Chi trascura questo aspetto si trova prima o poi fuori mercato. Il Jobs Act all'articolo 5 prevede una modifica di un decreto del 1986 che amplia la deducibilità di queste spese: «entro il limite annuo di 10mila euro, le spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale nonché le spese di iscrizione a convegni, congressi e simili sono integralmente deducibili». Inoltre, all'articolo 6 si aggiunge che anche «le spese sostenute dal lavoratore autonomo per servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca, addestramento, sostegno all’auto-imprenditorialità, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro erogati dagli organismi accreditati sono interamente deducibili dal reddito entro il limite annuo di 5mila euro».
Pro - appalti pubblici. Finora i lavoratori autonomi non hanno potuto facilmente svolgere lavori per la pubblica amministrazione, se non in qualità di consulenti - e dunque favorendo spesso le conoscenze amicali piuttosto che il merito. Il Jobs Act apre invece alla possibilità che le amministrazioni pubbliche nazionali e locali «in qualità di stazioni appaltanti» debbano promuovere «la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici, in particolare favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche» e che debbano anche adattare «laddove possibile i requisiti previsti dai bandi e dalle procedure di aggiudicazione alle caratteristiche di tali lavoratori».
Pro ma con punto di domanda - uno dei punti più dolenti per i lavoratori autonomi è la certezza di essere pagati, e quello delle tempistiche di pagamento. Il Jobs Act introduce rispetto a questo tema una garanzia «contro i ritardi di pagamento dei compensi», all'articolo 2, semplicemente modificando il raggio di applicazione di un vecchio decreto legislativo (231/2002 e successive modifiche), finora limitato ai «contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni», ed estendendolo «anche alle transazioni commerciali tra imprese e lavoratori autonomi o tra lavoratori autonomi». Il problema qui è che questo decreto legislativo è risultato palesemente inefficace: pur prevedendo che tutte le fatture dovrebbero essere saldate a 30 giorni, e che termini di pagamento più lunghi dovrebbero essere concordati tra le parti e mai eccedere i 60, in realtà la cronaca ci ha raccontato i ritardi mostruosi - sopratutto delle pubbliche amministrazioni - nei confronti dei creditori. E anche nei rapporti tra imprese, spesso una piccola non può che adattarsi alle lungaggini del committente più potente, perché andare in giudizio comporta non solo spese legali e ulteriori attese, ma spesso può anche minare il rapporto di fiducia e comportare la fine della collaborazione (con una penalizzazione, a conti fatti, della piccola impresa). Questi problemi rischiano di riprodursi tali e quali, se non aggravati, applicando la normativa anche ai lavoratori autonomi.
Pro ma con un grosso punto di domanda - lo sportello per gli autonomi sul mercato del lavoro. Finora i lavoratori autonomi hanno sempre dovuto arrangiarsi; tutt'al più qualche professionista ha potuto forse far riferimento, nella ricerca di lavoro, al suo Ordine professionale (benché siano davvero pochi quelli che negli ultimi anni si sono seriamente posti il problema degli sbocchi professionali dei propri iscritti - noi abbiamo raccontato per esempio, di recente, l'idea dell'Ordine dei biologi per il matching con le aziende in cerca di quelle professionalità, ma si tratta di una mosca bianca). Ora il Jobs Act prevede che gli autonomi debbano poter avere «diritto di accesso alle informazioni sul mercato» e sopratutto fruire di «servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione». Il che vuol dire, si legge nel testo dell'articolo 6, che «i centri per l’impiego e gli organismi accreditati si dotano, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo». Questo sportello «raccoglie le domande e le offerte di lavoro autonomo, fornisce le relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta, fornisce informazioni relative alle procedure per l’avvio di attività autonome e per le eventuali trasformazioni, per l’accesso a commesse ed appalti pubblici, nonché relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali». Il problema è che i centri per l'impiego sono oggi totalmente inadeguati a fornire servizi di qualità all'utenza: hanno poco personale, nella maggior parte dei casi poco preparato; hanno subito un contraccolpo fortissimo con il caos della soppressione delle Province, con il risultato che la loro già scarsa dotazione economica è stata ulteriormente rivista al ribasso, o quantomeno congelata. Con turn-over bloccato e dotazione di strumenti tecnologici pressoché inesistente, i centri per l'impiego già fanno fatica a non soccombere e a far fronte all'ordinaria amministrazione. Per aprire degli sportelli per lavoratori autonomi bisognerebbe necessariamente mettere a disposizione un budget adeguato, assumere personale specializzato. Una prospettiva realistica?
Staremo a vedere quali saranno le reazioni del parlamento quando la bozza di decreto arriverà in discussione, e se vi sarà spazio per eventuali migliorie.
Eleonora Voltolina
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