Falsi pubblicisti, prevenire è meglio che curare. Non sono rari, purtroppo, i casi di giovani aspiranti giornalisti costretti da aziende truffaldine a pagarsi da soli i contributi, falsificando documenti e ricevute fiscali per dimostrare l’esistenza di un’attività remunerata e poter ottenere così l’ambito tesserino. Ma è possibile giocare d’anticipo e impedire il ripetersi di questa pratica illegale, che costituisce reato tanto per le testate coinvolte quanto per i ragazzi che si lasciano convincere? La Repubblica degli Stagisti lo ha chiesto ai venti Ordini regionali dei giornalisti, ottenendo un coro di risposte pressoché uniforme: i controlli ci sono, ma vengono effettuati solamente sulla documentazione fiscale presentata dagli aspiranti pubblicisti (che consiste nelle singole ricevute dei pagamenti assoggettati a ritenuta d'imposta o nel modello riepilogativo di fine anno dei compensi rilasciato dall'azienda in base al Dpr 600 del 1973 con allegata quietanza del versamento della ritenuta d'acconto). Impossibile, di fatto, un'azione preventiva, in primo luogo perchè gli stessi Ordini non conoscono la situazione dei ragazzi sino a che non presentano domanda per diventare publicisti.
«Per l’iscrizione all’albo elenco pubblicisti» ricorda Gianni Rossetti [nella foto], presidente dell’Ordine giornalisti delle Marche «bisogna dimostrare una collaborazione “continuativa” e “retribuita” relativa agli ultimi due anni. Per quanto riguarda i compensi non è sufficiente la dichiarazione del direttore o dell’editore, ma chiediamo una documentazione certa, cioè il Dpr 600, che sarebbe il modulo riepilogativo che ogni azienda manda all’interessato per la denuncia dei redditi, oppure il versamento della ritenuta d’acconto». In questo caso, riconosce Rossetti, ci potrebbe essere qualche operazione truffaldina: «Noi chiediamo la documentazione certa dell’avvenuto pagamento e del versamento della ritenuta d’acconto. Se poi il collaboratore restituisce i soldi all’editore e paga lui stesso la ritenuta d’acconto, noi non abbiamo strumenti per verificarlo». Ad agevolare parzialmente il controllo, però, contribuisce proprio la natura locale dell’ente: «Sul piano teorico è possibile costruire una documentazione fittizia per una iscrizione all’albo dei pubblicisti, ma le dimensioni territoriali delle Marche ci aiutano a evitare inganni. Conosciamo un po’ tutte le testate e sappiamo chi paga e chi no e in caso di qualche sospetto non esitiamo a mandare la documentazione alla Guardia di Finanza che ha poi strumenti di verifica molto più attendibili dei nostri».
Claudio Laugeri, presidente dell’Odg valdostano [nell'immagine qui a destra, l'homepage del sito], invita direttamente gli aspiranti giornalisti a segnalare eventuali irregolarità, per consentire all'Ordine di avviare accertamenti in proprio oppure affidarli all'autorità giudiziaria: «Le contromisure potrebbero essere legate all'attribuzione di un potere ispettivo anche all'Ordine, come già avviene per l'Inpgi, ma questo può avvenire soltanto con legge dello Stato. E nel progetto di riforma non pare sia prevista un'eventualità del genere».
Altre misure di controllo prevedono la presentazione da parte del candidato di ricevute fiscali emesse a cadenza regolare nel tempo, così da minimizzare la possibilità di truffe. Nessun Ordine accoglie come pubblicista chi presenta un pagamento cumulato per l’intero biennio e molti richiedono una frequenza ben maggiore; in Umbria, ad esempio, è richiesto un pagamento che sia almeno trimestrale, mentre la Sardegna richiede 300 euro corrisposti in ben 4 soluzioni semestrali.
Il presidente dell’Odg del Piemonte Sergio Miravalle [nella foto qui a sinistra] descrive così la situazione: «Noi abbiamo istituito una serie di procedure per verificare che ciò che viene dichiarato dai futuri pubblicisti corrisponda al vero. Oltre a non accettare versamenti sanatori biennali, invitiamo molti dei ragazzi che presentano la domanda a parlarci di persona, per conoscerli, sentire direttamente le loro testimonianze: la verità cartacea è un conto, quella che emerge da un colloquio diretto è un altro. E poi, ci auguriamo che l’etica media della categoria sia migliorata e stia migliorando, e che non ci siano così tanti direttori disposti a dichiarare il falso nei documenti ufficiali presentati all’Ordine».
L’unico caso in cui sia possibile un intervento preventivo, e anche il più raro, è quello in cui vi sia una denuncia specifica all’Ordine. In tal caso i documenti vengono passati alla procura o la segnalazione è inoltrata alla Guardia di finanza. Severo il giudizio di Stefano Pallotta, presidente dell’Odg d’Abruzzo: «In genere la retribuzione minima richiesta dagli Ordini è molto bassa, e i contributi ammontano a cifre spesso irrisorie o comunque alla portata di molti. Anche per questo sono possibili fenomeni del genere e casi di omertà. Sono i ragazzi per primi a non doversi prestare a queste falsificazioni e a dover venire subito a denunciare la situazione. Se non lo fanno, si rendono loro stessi colpevoli di falsa dichiarazione e vanno sicuramente incontro a conseguenze molto gravi». Lo stesso Pallotta prospetta poi una soluzione netta alla questione: «C’è una sola via d’uscita: democratizzare il sistema e permettere ai giovani di accedere all’Ordine istituendo una laurea in giornalismo».
Andrea Curiat
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