I giovani italiani laureati in Beni culturali si rivoltano contro il ministro Massimo Bray. Proprio quel ministro che in questi mesi ha fatto loro molte promesse, per esempio rispetto alla procedura di riconoscimento della loro professione.
In questi ultimi giorni il motivo del contendere è un altro, e riguarda invece le opportunità professionali offerte dal ministero ai giovani che hanno scelto di studiare Beni culturali. Un bando emesso quattro giorni fa apre le candidature per 500 posti al ministero: ma le "posizioni" non sono di lavoro, bensì di stage. Anzi, di «percorsi formativi»: in tutto il bando non si trova infatti mai scritta la parola stage, o tirocinio, come se si volesse accuratamente evitare di chiamare le cose con il loro nome; fino alla pagina 6 in cui finalmente, nell'articolo dedicato al «rinvio alla normativa vigente», si ammette che tutto il programma formativo minuziosamente spiegato fino a quel punto si appoggia sulla «normativa vigente in materia di tirocinio formativo e di orientamento».
E pensare che i luoghi archeologici italiani – tra siti, monumenti e musei – ammontano a più di 2500, con un flusso annuale di oltre 15 milioni di visitatori. E che su 911 siti tutelati dall’Unesco in tutto il mondo, ben 44 – il 5%, una percentuale mostruosamente alta – sono italiani. Eppure quella di archeologo è una delle professioni più bistrattate nel nostro Paese: dopo un lunghissimo e duro periodo di formazione infatti sfocia in un mercato tirchissimo di opportunità, dove i posti di lavoro stabili sono una rarità, e dove all'ordine del giorno vi è il lavoro "a giornata", sottopagato e magari con l'imposizione di aprire la partita Iva. Anche questo bando sembra purtroppo porsi su questa scia di offerte di lavoro "al ribasso" (e già il gruppo "500 no al Mibact" ottiene migliaia di sottoscrizioni su Facebook). Prevede, è vero, che i «percorsisti in formazione» (come chiamarli, se il ministero sembra non gradire la definizione di «stagisti» e cercare di dribblarla?) percepiscano una indennità. Ma essa è fissata - all'articolo 6 - in soli 5mila euro annui lordi, perdipiù comprensivi «della quota relativa alla copertura assicurativa». Contando anche solo 50 euro per questa quota, significherebbe 4.950 euro su 12 mesi. Cioè 416 euro al mese, e per giunta lordi.
In un altro passaggio il bando, premettendo in maniera addirittura ridondante che «il programma formativo non costituisce in alcun modo e non dà luogo alla costituzione in alcun modo di un rapporto di lavoro subordinato», specifica che «l'impegno orario settimanale del giovane da formare dovrà essere definito in modo coerente con l'orario adottato presso l'istituto e il luogo della cultura individuato» e comunque «non potrà essere inferiore alle 30 ore settimanali e superiore alle 35 ore settimanali». Dunque, ponendo una media di 140 ore mensili, il conto è presto fatto: 3 euro all'ora. Una cifra misera, che forse sarebbe accettabile se il bando fosse rivolto a giovanissimi studenti del primo o secondo anno di università: a vent'anni si può anche accettare di lavorare per poco, pur di imparare. Ma il bando è invece indirizzato a laureati in Beni culturali fino a 35 anni di età, meglio se già provvisti di esperienza professionale. E non è difficile intuire, come sottolinea con forza l'Associazione nazionale archeologi annunciando anche una giornata di mobilitazione per l'11 gennaio, che un archeologo 30enne desideri un posto di lavoro e una degna retribuzione, non uno stage da 416 euro all'ora.
La Repubblica degli Stagisti aggiunge un'altra riflessione più tecnica. Questi stage si configurano inevitabilmente come extracurriculari, essendo destinati a persone che abbiano già terminato gli studi. Come il ministro Bray certamente sa, tale materia è stata recentemente oggetto di una profonda revisione normativa che ha portato ogni Regione a emettere una propria regolamentazione regionale sulla base di alcune linee guida concordate nel gennaio del 2013 in sede di Conferenza Stato-Regioni. Uno dei punti focali delle linee guida era l'introduzione di una indennità obbligatoria a favore dello stagista, che la Conferenza aveva fissato in un minimo di 300 euro al mese ma che alcune Regioni hanno poi innalzato. Dunque vi sono Regioni dove la cifra prevista dal ministero come compenso a favore dei suoi «percorsisti in formazione» sarebbe, semplicemente, illegale.
Questo bando cioè, rebus sic stantibus, non potrà essere attuato in «luoghi di cultura» sul territorio del Piemonte, dell'Abruzzo, della Toscana e del Friuli, dove gli stage extracurriculari devono essere indennizzati con un minimo compreso tra 500 e 600 euro al mese; nè in Emilia Romagna e Puglia, dove il limite minimo è fissato a 450 euro. E potrà essere attuato nel Lazio, cioè nella Regione dove ha sede il ministero, solo per il rotto della cuffia - per 16 euro - dato che la giunta Zingaretti ha previsto lo scorso luglio nella sua delibera un'indennità lorda mensile minima pari a 400 euro.
Un altro problema riguarda la durata, 12 lunghissimi mesi, incompatibile con la legge vigente nelle Regioni Veneto e Piemonte e nella provincia autonoma di Bolzano (che pongono per i tirocini extracurriculari il limite a 6 - 9 mesi, concedendone 12 solo ai soggetti svantaggiati).
Infine, la questione più spinosa. In un'audizione effettuata in Parlamento, a commissioni Beni culturali di Camera e Senato riunite, una settimana prima della pubblicazione del bando, il ministro afferma testualmente [qui il video]: «Il ministero ha perso negli ultimi cinque anni non solo risorse economiche come sappiamo e abbiamo condiviso, ma anche molte risorse umane e grandi professionalità. Si tratta di un dato a mio avviso allarmante sopratutto se si pensa che rispetto a quanto previsto dalla pianta organica del ministero mancano all'appello 600 persone. E senza le persone, senza la loro competenza e professionalità, non si può rilanciare come tutti vogliamo la cultura nel nostro Paese. In questa direzione qualcosa è previsto nel decreto "Valore Cultura", e mi riferisco alle misure urgenti per l'avvio del programma straordinario di inventarizzazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, e per l'attuazione del progetto "Cinquecento giovani per la cultura". Con tale disposizione attuiamo un programma straordinario per la prosecuzione e lo sviluppo della inventariazione, della catalogazione e della digitalizzazione del nostro patrimonio, anche allo scopo di incrementare la pubblica fruizione del patrimonio». In questa frase, pronunciata peraltro prima che il bando fosse reso pubblico, l'Associazione nazionale archeologi vede l'ammissione del "peccato originale" che guasterebbe questa iniziativa ministeriale: cioè il fatto di voler prendere i 500 stagisti per rimpiazzare i 600 buchi di organico. Una pratica non nuova al settore pubblico, che la Repubblica degli Stagisti a più riprese ha denunciato nel corso di questi ultimi anni.
E non è tutto. Poco dopo il ministro, nella stessa audizione, prospetta anche una possibile assunzione degli stagisti più capaci: «Al termine del percorso formativo e della collaborazione nell'attività che andranno a svolgere, i laureati che abbiano conseguito un giudizio favorevole secondo le modalità definite con decreto ministeriale saranno immessi nei ruoli del ministero con il corrispondente profilo professionale». Possibile? Ma come potrebbe il ministero assumere, nel corso del 2015, un numero (per ora indefinito) di nuove risorse senza passare attraverso una procedura concorsuale? Le assuzioni effettuate in questo modo non sarebbero immediatamente impugnabili dagli esclusi?
L'auspicio adesso è che il ministero si faccia avanti per rispondere alle critiche dei giovani destinatari del bando, e per riparare le falle che dovesse eventualmente ammettere.
Eleonora Voltolina
Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- L'Italia ha il 5% del patrimonio Unesco mondiale: eppure gli archeologi fanno la fame [su Articolo 36!]
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