Lo scorso giugno, una bella giornata di sole, l’Ufficio Statistica della Regione Sicilia ha pubblicato un dato da far venire i brividi: il tasso di disoccupazione regionale (attenzione, non giovanile: regionale) al 34,8%. Più di una persona su tre senza lavoro, ma soprattutto ben 13,8 punti percentuali in più rispetto al tasso elaborato poco prima dall’Istat. Una notizia sensazionale anche per chi vive in una regione che, quando si parla di lavoro e politiche occupazionali, fa sempre la parte di cenerentola. In questo contesto, lavorare in un Centro per l’impiego deve essere quantomeno complicato.
Lo è certamente a Siracusa, dove disperazione e smarrimento sono all’ordine del giorno, come confida una dirigente che preferisce restare anonima: «Qui la situazione è più che disastrosa. Le problematiche sono tante, c’è un mare di gente che perde il lavoro e non possiamo farci nulla. È una situazione che non possiamo fronteggiare, possiamo vendere solo fumo. Su Garanzia Giovani, ad esempio, è arrivato il bando per il servizio civile, ma solo quello. Non c’è altro. Progetti come Garanzia Giovani e il Piano Giovani, su cui i ragazzi facevano molto affidamento, di fatto si stanno rivelando una bolla di sapone. Basti pensare che il progetto regionale relativo al Piano Giovani è ancora bloccato».
A Siracusa, come in tante altre zone dell’isola, la disoccupazione riguarda tutti, ragazzi e meno giovani: i primi sono rassegnati, i secondi disperati. «C’è gente di 40 o 50 anni che perde il lavoro e rimane a casa» spiega la dirigente del cpi «non hanno più nessuna possibilità, stiamo andando avanti con gli ammortizzatori sociali e la mobilità in deroga, ma sono interventi che lasciano il tempo che trovano, anche perché un padre di famiglia non riesce a tirare su una famiglia con quelle somme».
Gli iscritti ai quattro centri per l’impiego in provincia di Siracusa, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, sono moltissimi. Più di 60 mila a Siracusa, 28 mila ad Augusta, 24 mila a Lentini e 38 mila a Noto. Città bellissime, ricche di storie, ma povere di lavoro. «Qui le aziende stanno chiudendo tutte» dicono gli operatori «basta fare un giro in centro a Siracusa e si notano molti negozi chiusi. La situazione è veramente sconfortante, tanta gente viene a piangere ai nostri sportelli, non hanno neppure i soldi per comprare il pane».
Una struttura che produce pochi risultati, ma in grado di dare lavoro a ben 144 persone, impiegate nei quattro cpi della provincia. Tutti assunti a tempo indeterminato, nessun precario. Un’oasi rigogliosa in mezzo al deserto, che un po’ stona. «È vero, siamo in tanti, ma abbiamo competenze diverse rispetto ai colleghi delle altre regioni» spiega Paolo Trovato, dirigente ad interim: «Ad esempio il controllo e la vigilanza sulla formazione professionale e la rendicontazione».
«E poi fino a qualche tempo fa» aggiunge una collega «offrivamo molti più servizi; c’era lo sportello del Ciapi, il Centro interaziendale addestramento professionale integrato, dove lavoravano diversi operatori degli enti di formazione. Si occupavano di orientamento, supporto psicologico. Purtroppo il servizio è stato smantellato e chi vi lavorava ora è in cassa integrazione o in mobilità. Tutti passati dall’altra parte dello sportello, a fare la coda per iscriversi e richiedere gli ammortizzatori sociali».
Pensare al Centro per l’impiego di Siracusa come all’ennesimo carrozzone che assorbe tanti soldi pubblici è quasi scontato. Il Centro, a differenza di altre realtà italiane, dipende dalla Regione Sicilia (a Statuto speciale) e non dalle provincia. Ma questo per il dirigente ad interim è un handicap. «Ricordo che il Centro di Pordenone organizza, attraverso vaucher, la manutenzione delle scuole. Da noi questo è impossibile, perché non abbiamo fondi a disposizione da potere erogare direttamente».
Eppure, nello sconforto generale, qualcosa che funziona c’è. Come i servizi online, che in altre regioni faticano a decollare, qui sono utilizzati dagli utenti. Collegandosi al portale è possibile fare la dichiarazione di disponibilità o richiedere altri certificati. C’è poi la “bacheca lavoro”, che pubblicizza le poche offerte di impiego. Un barlume di luce che si spegne di colpo quando la discussione si sposta sul rapporto con le imprese del territorio. «Abbiamo perso il contatto con le aziende dopo l’introduzione della comunicazione obbligatoria delle assunzioni» spiegano dal Centro “e adesso i rapporti avvengono attraverso le associazioni di categoria o gli ordini professionali. Facciamo quello che possiamo, ma le condizioni socioeconomiche sono complicate. Lo erano qualche anno fa, lo sono ancora di più adesso. Ci servirebbero risorse da potere investire, vorremmo attivare progetti, ma abbiamo le mani legate e non possiamo farci davvero nulla”.
Community