Jobs Act e abolizione del contratto a progetto, non tutti pensano che sarebbe un passo avanti

Chiara Merico

Chiara Merico

Scritto il 02 Dic 2014 in Approfondimenti

Il Jobs Act servirà davvero a rilanciare l’occupazione in Italia o si rivelerà l’ennesima riforma parziale, che non sarà in grado di incidere? In attesa che il decreto del governo Renzi superi il nuovo esame del Senato e venga dunque convertito in legge, tra gli addetti ai lavori permangono forti perplessità, sia sulla natura del provvedimento (su alcuni punti fondamentali si dovranno attendere i decreti delegati) sia sulla sua efficacia. Del decreto e del progetto Garanzia Giovani si è discusso pochi giorni fa nell’incontro organizzato a Milano dal centro studi Adapt e dalla società di servizi per il lavoro Synergie, dal titolo “Lavoro: cosa cambia davvero con il Jobs Act e la Garanzia Giovani? Riforme e politiche del lavoro ai tempi del governo Renzi”.

«L’impatto reale del Jobs Act sull’occupabilità è difficile da quantificare»
, ha riassunto in avvio di lavori il giornalista Oscar Giannino. I dubbi espressi dal moderatore riguardano alcuni punti chiave del decreto: dal contratto a tutele crescenti allo sfoltimento delle tipologie di contratti temporanei. «Bisognerà vedere quali contratti resteranno: ad esempio alcuni giorni fa i dipendenti di alcuni call center sono scesi in piazza, chiedendo che non vengano aboliti i contratti a progetto. Questi lavoratori sono consapevoli che per loro l’abolizione dei cocopro potrebbe significare la perdita del posto di lavoro, perché le imprese potrebbero a quel punto scegliere di delocalizzare», ha sottolineato Giannino. Restano incertezze anche sul sussidio unico di disoccupazione, il Naspi, per il quale non sono ancora state definite le risorse, e sui lavoratori autonomi, per i quali «il Jobs Act poteva essere l’occasione di fare un passo avanti».

Considerazioni condivise dal presidente di Adapt Emmanuele Massagli, trentunenne ricercatore di Diritto del lavoro, che ha offerto una lettura dei dati, diffusi venerdì a fine novembre, sulla disoccupazione e sui nuovi contratti di lavoro. Se da un lato il tasso dei disoccupati, secondo l’Istat, a ottobre ha raggiunto il massimo da quando esistono le serie storiche – al 13,2% - dall’altro il ministero del Lavoro, che ha anticipato le comunicazioni obbligatorie sui nuovi rapporti di lavoro, ha certificato un aumento degli avviamenti a 2 milioni 474mila (+2,4% rispetto al terzo trimestre 2013), di cui 400mila nuovi contratti a tempo indeterminato (+7,1%), mentre le cessazioni sono state pari a 2 milioni 415mila (+0,9%).

Non solo: sempre secondo l’Istat, nel terzo trimestre i posti di lavoro sono stati 122mila in più. «Tra questi non ci sono però giovani tra i 15 e i 29 anni, e nemmeno adulti tra i 30 e i 45, mentre crescono (+5,5%) gli over 50», ha sottolineato Massagli. «In più, sette nuovi contratti su dieci sono a tempo determinato, di cui molti di durata inferiore a sei mesi: crescono anche i contratti a progetto, nonostante la legislazione sfavorevole. Questi dati significano che chi assume preferisce i contratti a termine, ricorrendo anche ai cocopro, e sceglie adulti esperti: continua invece il crollo del mercato del lavoro giovanile».

Il Jobs Act è in grado di interpretare queste esigenze? Secondo Massagli «in parte sì, in parte no. Intanto è il quinto intervento in cinque anni, e questo è un problema perché ogni nuova legge è soggetta a interpretazioni: quindi facciamo le riforme, ma che vadano bene». Per il presidente di Adapt, ad esempio, alcuni dubbi riguardano l’introduzione del contratto a tutele crescenti. «Cosa succederà  nel mercato del lavoro con l’abolizione dei contratti a progetto e la rimodulazione dei tempi determinati? Non si sa ancora, ma di certo se i contratti a progetto scomparissero dal primo gennaio sarebbe un problema: senza un’applicazione graduale si rischia di creare centinaia di migliaia di disoccupati».

Sul fronte delle misure per incentivare l’occupazione giovanile, Massagli ha sottolineato: «C’è una forte esigenza di politiche attive, e adesso è in vigore il più grande piano per i giovani da cinquant’anni a questa parte: si chiama Garanzia Giovani». A questo proposito, Adapt e Repubblica degli Stagisti hanno lanciato un questionario online, attraverso il quale i giovani coinvolti possono raccontare la loro esperienza con il progetto: ad oggi hanno aderito più di 1200 ragazzi. Per il presidente di Adapt «prima di affacciarsi al mondo del lavoro, i giovani incontrano solo la scuola e l’università. Investire sulla formazione è il primo modo per combattere la disoccupazione giovanile». Per Massagli quelle avviate dal governo «sono riforme necessarie, anche se qualche dubbio c’è».

Un giudizio in chiaroscuro sul Jobs Act è stato espresso anche da Valentina Aprea, assessore al Lavoro della Regione Lombardia. «Innanzitutto si tratta di una delega in bianco al governo: su alcuni punti il decreto è così generico da consentire anche letture contrapposte dello stesso principio», ha commentato. «Inoltre, dovrebbero esserci risorse certe e invece la delega prevede l’invarianza della spesa pubblica». Per l’assessore, tra i lati positivi del decreto ci sono «l’estensione dell’Aspi e il rafforzamento delle politiche attive, mentre non mi appassiona il contratto a tutele crescenti, che può diventare un’arma nelle mani degli imprenditori, mentre il patto tra dipendente e datore di lavoro deve essere chiaro. Invece la detassazione dei nuovi contratti è la strada corretta».

A difendere la bontà dei provvedimenti del governo Renzi è stato Stefano Lepri, vicepresidente dei senatori Pd e membro della Commissione Lavoro di Palazzo Madama. «Il Jobs Act è l’ennesima rivoluzione? Speriamo che sia l’ultima», ha commentato, spiegando che per i decreti delegati il tempo di attesa sarà «tra i tre e i sei mesi». Secondo Lepri «il combinato disposto della decontribuzione per tre anni e dell’introduzione del contratto a tutele crescenti porterà risultati», e la chiave per l’applicazione del nuovo contratto sarà «la definizione dell’entità dell’indennizzo da corrispondere per i licenziamenti economici: se sarà troppo basso darà buon gioco a chi sostiene che con la nuova norma sarà possibile licenziare senza regole, mentre se sarà troppo alto renderà il licenziamento poco conveniente per il datore di lavoro». Ma la vera sfida, «la più grande perché la più complessa», riguarderà «le politiche attive per contrastare la disoccupazione giovanile. Il progetto Garanzia Giovani parte da lodevoli intenti, ma finora ha ottenuto risultati molto differenti a seconda delle diverse strutture che se ne occupano». Al di là delle buone intenzioni, la strada per far ripartire l'occupazione in Italia sembra quindi ancora molto lunga.

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