Irene Dominioni
Scritto il 21 Ago 2017 in Approfondimenti
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In un’economia in cui il successo si gioca sui temi dell’innovazione e delle nuove forme di imprenditorialità, la padronanza dei processi digitali diventa un elemento sempre più cruciale sia per le imprese che per gli individui. Eppure da uno studio del 2016 condotto da University2Business nelle università italiane emerge che la maggior parte degli studenti si affaccia al mondo del lavoro con una scarsa consapevolezza della trasformazione digitale in atto nell’economia, poca esperienza concreta nella gestione di progetti digitali e ancora meno conoscenze teoriche sull’innovazione digitale applicata al business. Secondo la ricerca quelli che hanno intuito la rilevanza del saper sviluppare un software o lanciare una startup, spendendosi nell’acquisire queste competenze anche al di fuori dei corsi universitari, sono pari a circa il 30%.
Una percentuale ancora troppo bassa rispetto alle potenzialità che il mercato offre. Se si vuole colmare il cronico ritardo italiano in fatto di innovazione, la necessità di stimolare i giovani ad avvicinarsi a questi temi si fa quindi sempre più impellente.
Alcune opportunità per avvicinarsi a conoscenze e processi digitali già esistono; tra queste, i percorsi formativi di Crescere in Digitale, il progetto promosso dal Ministero del Lavoro, Google e Unioncamere che promuove inoltre l’inserimento in azienda dei giovani, e Fastweb Digital Academy. A Milano, inoltre, MiGeneration Lab ha offerto nel 2016 ai giovani disoccupati o precari tra i 18 e i 35 anni corsi gratuiti sulle nuove tecnologie e l’imprenditorialità, con la collaborazione di 18 partner tra makerspace, enti del privato sociale, associazioni giovanili e università. Alcuni di questi corsi, dalla grafica allo sviluppo di app, la progettazione e la comunicazione digitale, sono proseguiti con tre fab lab milanesi, WeMake, Yatta! e OpenDotLab. La Repubblica degli Stagisti li ha sentiti per capire qual è attualmente la loro offerta formativa per i giovani.
Cos’è un fab lab? Abbreviazione di fabrication laboratory e detto anche makerspace, si tratta di un’officina digitale dove è possibile sviluppare progetti innovativi e un'ampia gamma di oggetti grazie a stampanti 3D, frese a controllo numerico, laser cutter, macchine per il taglio vinilico e postazioni di lavorazione. Il fab lab è frequentato dai maker, figure a cavallo tra gli inventori e gli artigiani, concretizzate nelle professionalità più diverse, dai designer agli sviluppatori, progettisti, ingegneri e creativi di ogni genere. Ma, soprattutto, il fab lab è una comunità «caratterizzata da persone diverse e da relazioni leggere, è un luogo che si frequenta per piacere» sottolinea Cristina Martellosio, responsabile del settore educational e politiche giovanili di WeMake. I fab lab possono avere focus e offrire attività diversi, ma sono accomunati dagli stessi principi di fondo: sono spazi accessibili a tutti; la tecnologia è qualcosa che si capisce davvero solo mettendoci le mani; e la curiosità e la voglia di imparare sono aspetti centrali per chiunque si avvicini a questo tipo di realtà.
WeMake è nata nel 2014 per mano di Zoe Romano e Costantino Bongiorno e si occupa principalmente di Electronic, Textile e Fabrication, oltre che di formazione e ricerca. Yatta!, che in giapponese significa “Ce l’ho fatta!”, invece, incentra la propria attività formativa intorno agli ambiti dell’elettronica, dell’informatica e del design, offrendo serate divulgative e anche uno spazio di coworking. Opendot, infine, è stato fondato nel 2014 da Dotdotdot, studio di progettazione multidisciplinare milanese, e offre una formazione di stampo progettistico, oltre a svolgere attività consulenziale.
Le tipologie di corsi offerti sono diverse a seconda del fab lab. A WeMake, per esempio, si possono frequentare corsi brevi di 5 o 6 ore per imparare ad utilizzare uno specifico software o hardware, utili allo stesso tempo per capire se si è interessati o meno ad approfondire quelle tecnologie. Altri, invece, sono più lunghi, fino a 80 o 90 ore, erogati per la maggior parte gratuitamente, sulla falsariga dei corsi di MiGeneration Lab, il progetto promosso e co-finanziato dal Comune di Milano in favore dei Neet per lo sviluppo di nuove competenze e idee imprenditoriali: pur non ricadendo sui fruitori, il valore monetario dei corsi rappresenta un investimento su di loro. L’obiettivo di questo tipo di formazione è anche motivazionale: «molte persone si mettono a cercare lavoro o riprendono il corso degli studi» sottolinea la Martellosio. Per quanto riguarda i temi, WeMake sviluppa, in partnership con Fastweb Digital Academy, corsi professionalizzanti di digital fabrication, robotica, user experience & interface, wearable e digital fashion. Un’eccezione è composta dal corso “Dall’idea al progetto” che ha un carattere più orientativo ed è volto non solo a sviluppare competenze, ma soprattutto a fornire gli strumenti per costruire un proprio progetto dalle fondamenta, partendo dallo sviluppo di un piano di fattibilità e di un business plan fino alla stesura di un programma di comunicazione. Infine, WeMake è impegnata nelle scuole, dove conduce laboratori digitali puntando a realizzare percorsi di innovazione tecnologica, collaborando con gli insegnanti sul lungo periodo. «Le tecnologie non sono fini a se stesse, ma sono utili proprio per le materie di base che si imparano a scuola. Solo in questo modo si riesce a fornire agli studenti competenze che possono essere utili in ambiti differenti» aggiunge la Martellosio. Con gli studenti più grandi, infine, organizza anche attività di alternanza scuola-lavoro, con la possibilità per i ragazzi di sviluppare un progetto personale.
Yatta! ha due filoni di attività: il primo comprende percorsi di educazione digitale indirizzati alle scuole e programmi di formazione più verticali di informatica, elettronica e digital fabrication, mentre il secondo è incentrato su servizi di programmazione, progettazione e stampa 3D. Sono ormai iniziati i corsi della summer school, che prevedono una formazione di base nel format “senza segreti” applicato a stampa 3D, Arduino e programmazione, in corsi serali di 3 ore. Mentre da settembre ripartono i corsi per maker, per progettare e realizzare un’idea, insieme a corsi “pro” più verticali. Yatta! offre anche serate divulgative gratuite su diversi temi come Smar3D, dedicato alla stampa 3D, TEaCH, pensato per l’insegnamento con strumenti digitali, Smart, che tocca tutte le tecnologie intelligenti di oggi, e infine Onboard, dedicato all’elettronica e in particolare all’hardware. Inoltre, sono disponibili corsi di coding di base per i giovanissimi (8-18 anni), in alcuni casi anche gratuiti.
Opendot, infine, svolge formazione in diverse modalità: forte della collaborazione con le università, propone workshop e corsi brevi di un paio di giorni, i cosiddetti “user group” (gratuiti) su temi come il food design, grafica e mobilità, adottando la modalità della peer-to-peer education. Ci sono inoltre corsi più avanzati e verticali su tecnologie che non fanno parte nemmeno dei programmi universitari, come quelli sul machine learning, e corsi di progettazione volti a costruire una professionalità propria, apprendendo le tecniche del crowdfunding, la progettazione di un business model e lo sviluppo di un prodotto. Imprescindibili anche i corsi più lunghi nel format di MiGeneration Lab, e in più dall’anno prossimo inizieranno anche le attività con le scuole. Opendot, inoltre, eroga un corso particolare della durata di 6 mesi chiamato Fab Academy, che consiste in un’infarinatura generale di tutte le tecnologie utilizzate in un fab lab. I requisiti per partecipare sono «un sacco di voglia e sapere l’inglese», puntualizza Enrico Bassi, design engineer e co-fondatore di OpenDot, poiché metà delle sessioni si svolge in videoconferenza contemporaneamente in tutto il mondo. Anche qui, c’è di tutto un po’. Uno degli studenti, racconta Bassi, «era direttore della fotografia per le produzioni cinematografiche, si è appassionato allo spirito e al funzionamento delle tecnologie, e adesso gestisce un laboratorio vicino a Milano». Le selezioni per la quarta edizione inizieranno a settembre e il corso a gennaio, con incontri bisettimanali in una classe volutamente molto ristretta di 8 persone, per permettere a tutti i partecipanti di usufruire al meglio dei contenuti e delle tecnologie a disposizione. Finora la Fab Academy ha coinvolto venti partecipanti direttamente in OpenDot, più 9 seguiti in remoto. La quota di partecipazione è di 5mila euro, comprensiva di attestato finale e portfolio dei propri progetti, e sono disponibili borse di studio. In più, OpenDot è alla ricerca di aziende interessate a giovani talentuosi e preparati alla trasformazione digitale per instaurare delle partnership.
Secondo quanto riportato dall’Osservatorio delle Competenze Digitali 2017, «quasi la metà dei lavori svolti attualmente da persone fisiche, nel mondo, potrà essere automatizzato quando le tecnologie si saranno diffuse su scala globale». Solo in Italia si stima che quasi 12 milioni di lavoratori saranno interessati da un processo di automatizzazione progressiva fino ad almeno il 50% dei loro compiti. Molti impieghi si trasformeranno, alcuni (quelli a bassa qualificazione) saranno rimpiazzati completamente da processi automatizzati, ma il digitale contribuirà anche alla creazione di nuovi posti di lavoro basati su nuove competenze e ad alto livello di qualificazione. Si tratterà di competenze non soltanto di natura tecnologica, ma un mix complesso comprendente soft skill e abilità sociali, come «la capacità di risolvere problemi complessi, di gestire il cambiamento, di collaborare e relazionarsi, di adattarsi con flessibilità e di comunicare». Perciò acquisire esperienza in un ambiente come quello di un fab lab, dove questi processi sono centrali, può fornire un vantaggio importante nell’accrescere tutti questi aspetti ed essere più competitivi nel mondo del lavoro. Se le tecnologie, come sostiene Neil Gershenfeld del MIT di Boston, «ci consentono di costruire praticamente qualsiasi cosa», non potranno che essere utili anche a dare forma e valore alla propria professionalità.
Irene Dominioni
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